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PARASSITI

Il parassitismo (dal greco παράσιτος[1]) è una forma di interazione biologica, generalmente di natura trofica, fra due specie di organismi di cui uno è detto parassita e l'altro ospite. A differenza della simbiosi mutualistica, il parassita trae un vantaggio a spese dell'ospite, creandogli un danno biologico.

Le proprietà che identificano in generale un rapporto di parassitismo sono le seguenti:

  • Il parassita è privo di vita autonoma e dipende dall'ospite a cui è più o meno intimamente legato da una relazione anatomica e fisiologica obbligata.

  • Il parassita ha una struttura anatomica e morfologica semplificata rispetto all'ospite.

  • Il ciclo vitale del parassita è più breve di quello dell'ospite e si conclude prima della morte dell'ospite.

  • Il parassita ha rapporti con un solo ospite che invece può avere rapporti con più parassiti.

Il concetto di parassita differisce da quello di parassitoide che, a differenza del parassita propriamente detto, termina il suo ciclo vitale oppure la fase parassitica del suo ciclo vitale causando la morte dell'ospite. Per esempio questo comportamento si riscontra in molti insetti ausiliari le cui fasi giovanili si svolgono a spese di un ospite che viene ucciso al termine del ciclo di sviluppo.

Il concetto di parassita differisce anche da quello di predatore che è dotato di vita autonoma, ha spesso una struttura morfoanatomica più complessa, ha rapporti con più vittime e, nel rapporto trofico, causa in genere la morte della vittima.

Infine il parassita non va identificato a rigore con il fitofago in senso lato: molti insetti fitofagi sono comunemente considerati parassiti delle piante. In realtà il rapporto trofico tra un fitofago e una pianta, analogo a quello degli erbivori, è assimilabile a una particolare forma di predazione da parte di un organismo consumatore a spese di un produttore. Il parassitismo è un fenomeno molto studiato in etologia e stimola numerose ricerche e ipotesi anche in altri campi della biologia: per esempio a esso è legata la teoria del fenotipo esteso che l'etologo Richard Dawkins ha presentato nel suo omonimo saggio (1982).

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Insetti parassiti: Notizie
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Vespa

Fai la differenza ora

Le vespe comunemente dette (generalmente specie appartenenti alle sottofamiglie Vespinae e Polistinae) sono insetti sociali: le loro società comprendono femmine sterili, operaie, ed una o più femmine fertili dette regine. I maschi appaiono solo nel periodo riproduttivo.[2]

Nell'ordine degli Imenotteri si riscontrano molti altri esempi di socialità più o meno evoluta: il livello di socialità delle vespe, anche se spesso complesso ed affascinante, è meno "specializzato" di quello delle api e di molte specie di formiche che rappresentano gli esempi evolutivi più alti della socialità fra gli insetti. La socialità è apparsa negli imenotteri diverse volte durante la storia evolutiva dell'ordine. Probabilmente questa particolarità è data da una caratteristica genetica per la quale tutti i maschi sono di tipo aploide, mentre le femmine sono tutte di tipo diploide. Secondo un calcolo piuttosto complesso le sorelle fra loro sarebbero geneticamente simili per il 75% mentre condividerebbero solo il 50% del patrimonio genetico con le madri.[3] Secondo alcuni studiosi[4] le femmine sarebbero perciò portate ad aiutare la madre a generare sorelle invece di dedicarsi a generare prole propria.

Vespa della famiglia Pompilidae con un ragno preda

I nidi possono essere più o meno complessi e sempre costituiti di un materiale simile al cartone che viene creato impastando del legno con la saliva (da qui il soprannome di vespe cartonaie)[5]. Sono posti a seconda della specie su rami, rocce, nelle cavità dei tronchi oppure sottoterra o ancora in manufatti antropici come camini, sottotetti, l'interno delle travi di metallo, verande, serre, vetture abbandonate ecc. e sono divisi in cellette esagonali con apertura inferiore o laterale. Il numero di componenti di una società può andare da alcune decine (è il caso ad esempio del Polistes gallicus diffuso in tutta l'Europa meridionale) a più di 100.000 individui come nel caso di certe specie tropicali.


Nido di vespa cartonaia (Polistes dominulus, riconoscibile per via delle guance gialle e per l'ultimo sternite anch'esso giallo), all'interno di alcune celle sono visibili delle larve

Gli adulti delle vespe si cibano del nettare dei fiori ma predano piccoli insetti per integrare la dieta delle larve che allevano nel nido. Le vespe producono anche piccole quantità di miele che usano sia per nutrire le larve che per rapporti sociali attraverso trofallassi, nonché come scorte di glucidi.


Dettaglio della testa di una vespa Polistes dominula.

Le femmine sono dotate di un aculeo velenoso che utilizzano esclusivamente per difesa, la cui puntura è dolorosa, in alcuni casi pericolosa perché potenzialmente in grado di scatenare forme allergiche. In tal senso, la vespa più pericolosa è spesso considerata il calabrone, nonostante l'aggressività pari o anche molto minore rispetto ad altre specie.

Fra le varie specie di Vespidae ne esistono alcune con un comportamento da parassita sociale. Ad esempio, all'interno del genere Polistes, le femmine delle varie specie del sottogenere Sulcopolistes hanno l'abitudine di penetrare in un nido già esistente in fase di fondazione, sopprimerne la regina, sottomettere le operaie che nasceranno e cominciare quindi a deporre le loro uova nelle celle libere del nido. Da quel momento le operaie iniziano a nutrire e curare le larve del parassita. Le vespe della specie parassita sono sempre tutte feconde e non operano alcuna attività nel nido. Si tratta di maschi e femmine riproduttrici, infatti la casta operaia in questi parassiti sociali obbligati è andata persa con l'evoluzione. Sono documentati anche casi di parassitismo sociale non obbligato e occasionale, come per Polistes nimpha nei confronti di Polistes dominula.

Il termine comune vespa indica genericamente anche specie appartenenti a famiglie con comportamento solitario, quali gli Sphecidae, i Pompilidae, gli Scoliidae.

Insetti parassiti: Benvenuto
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Calabrone

Uno sguardo da vicino

Il calabrone (Vespa crabro Linnaeus , 1761) detto anche aponale o cravunaro rosso è il più grosso Vespide europeo. Nel linguaggio comune con il termine calabrone vengono spesso erroneamente identificati anche l'ape legnaiola (Xylocopa violacea) e il bombo terrestre (Bombus terrestris).

Il calabrone è la più grande delle vespe europee e nordamericane. Insetto prevalentemente carnivoro, predatore di altri insetti tra cui diverse altre specie di vespe e di api. Non disdegna però la polpa della frutta e i nettari zuccherini e ciò contribuisce a spiegare la sua sgradita diffusione in aree agricole.

I calabroni realizzano i loro nidi di carta utilizzando fibre vegetali impastate con saliva.

L'adulto è glabro, di colore bruno rossiccio con macchie e strisce gialle, di estensione variabile a seconda della sottospecie. La regina raggiunge normalmente i 35 mm di lunghezza, e in alcuni rari casi anche i 50 mm, mentre i maschi e le operaie misurano da 20 a 25 mm. I calabroni vivono in nidi esternamente a forma di sfera, costruiti con legno impastato con la loro saliva. Le colonie sono costituite da circa 100-300 esemplari. A causa del colore del capo, gli esemplari più grossi di regina possono essere confusi con la ben più aggressiva Vespa mandarinia japonica (calabrone gigante giapponese), che per fortuna per ora non è giunta in Europa, ma la vera confusione si verifica con le versioni chiare di Vespa Velutina, specie presente in Europa da diversi anni e in Italia dal 2012 (peraltro soprattutto nella variante Nigrithorax più scura)[1] in corso di eradicazione da Liguria e Piemonte mediante strumenti sofisticati.

Calabroni intorno al nido.

Pur essendo un insetto prevalentemente diurno, il calabrone svolge anche attività parzialmente notturna se attirato dalle luci artificiali che ha imparato essere altrettanto gradite a varie sue prede, e lo si può trovare attivo anche in autunno inoltrato.

Nei confronti dell'uomo di solito è tendenzialmente indifferente (a differenza della vespa comune, per esempio, che spinta da curiosità può ronzare intorno, aumentando le possibilità di reazioni umane scomposte e di puntura) e cerca di sottrarsi con rapida fuga o nascondimento ai tentativi di abbattimento tuttavia, mentre si può sostare con una certa tranquillità vicino a un albero da frutta in presenza di calabroni, e anche coglierne quei frutti sui quali i medesimi non si siano posati, questi insetti possono diventare molto aggressivi se messi alle strette o, come si è detto, in vicinanza del nido. Gli individui di genere femminile sono dotati di pungiglione, le cui punture (conseguenti a una reazione difensiva dell'animale) possono essere molto dolorose per gli esseri umani e per giunta liberano feromoni che informano dell'attacco in corso gli eventuali altri calabroni in zona, talvolta provocandone l'intervento in gruppo. Come nel caso delle altre vespe e delle api, il veleno inoculato ha effetti solo locali e transitori per la maggior parte delle persone, ma può provocare nei soggetti allergici reazioni anafilattiche anche mortali.

Ciclo vitale[modifica | modifica wikitesto]


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In primavera, una fondatrice di calabrone si sveglia dall'ibernazione e incomincia a costruire alcune cellette in un luogo riparato e difficile da individuare. Incomincia così a deporre le uova che, finché non si svilupperanno, sarà lei ad accudire. Si parla in tal caso di nido primario.


Tassonomia di Vespa crabro germana. Regina (in alto), femmina (al centro) e maschio (in basso). Collezione privata, F. Turetta.

È il momento ottimale in ambito agricolo/apistico (e al di là di considerazioni di natura ecologica) per cercare di catturare la futura regina con apposite esche.

Inizialmente il nido si presenta come una semisfera vuota rivolta verso il basso e di pochi centimetri di diametro, nell'interno della quale risiedono le prime cellette, delle strutture esagonali e adiacenti rivolte verso il basso, ognuna contenente una forma di sviluppo: uova, che dopo circa 5-8 giorni diventano larve. Le larve impiegano 2 o 3 settimane a crescere, occupando via via il volume della propria cella, nutrite con carne di altri insetti, prevalentemente muscoli alari, cacciati e triturati dalla regina. Le larve mature entrano poi nella fase pupale, creando un tappo sericeo per chiudersi all'interno delle celle prima di trasformarsi, nell'arco di un altro paio di settimane, in vespe adulte. Esse sono operaie, femmine sterili dedite alla cura della colonia. La prima manciata di operaie, cresciute dalla sola regina, rimane di piccole dimensioni. Infatti, prima della loro emersione, è la sola regina che le nutre ed espande il nido.


Un nido di calabroni in costruzione.

Nate le prime vespe operaie, la futura regina abbandona gradualmente le mansioni iniziali e si dedica alla sola deposizione delle uova. La regina, nutrita dalle operaie, andando di cella in cella, depone uova e controlla che le larve siano tutte sue figlie, diversamente le uccide.

Le operaie svolgono tutti i lavori: nutrici, toelettatrici, foraggiatrici, guardiane, costruttrici.

Le massime dimensioni della colonia sono raggiunte attorno al mese di settembre, quando anche la popolazione di operaie è al suo massimo. L'attività della colonia è molto frenetica, perché una covata consistente ha bisogno di essere nutrita. Il materiale da costruzione per il nido è una solida fibra vegetale, viene ottenuto impastando con la saliva le fibre di legno dei rami giovani di vari alberi a corteccia morbida, fino a ottenere una pasta modellabile, che, una volta indurita, sarà solida e dall'aspetto cartaceo. Infatti i nidi di V. crabro hanno consistenza cartacea, sebbene siano relativamente impermeabili e molto resistenti.


Calabrone, operaia, particolare della testa.

Dalle prime operaie e dal primo piano di cellette, la colonia cresce sempre di più durante l'estate. La fondatrice, ora pienamente denominabile regina, subisce un aumento del volume addominale a fronte della necessità di deporre un numero di uova sempre maggiore. Le operaie di un nido maturo in agosto possono essere dell'ordine delle centinaia.
In fine estate - inizio autunno, la regina cessa provvisoriamente di deporre le uova per lasciare alla sua prossima covata lo spazio necessario per crescere. L'ultima covata del nido, è però particolare. Non darà vita ad altre operaie, perché composta da larve di vespe aploidi maschi, nate da uova non fecondate, e vespe di sesso femminile che svilupperanno in nuove future fondatrici causa il maggior apporto di cibo da parte delle numerose operaie e la diminuzione dei feromoni di dominanza prodotti dalla regina originale. Appena l'ultima covata è dischiusa, attorno a settembre, comincia il declino del nido. Le nuove regine e i maschi, ora molto numerosi a dispetto delle operaie, a ridosso dell'inverno avviano il periodo degli accoppiamenti. Ogni femmina fertile copula con un maschio preferibilmente di un'altra colonia, dopodiché incomincia ad accumulare grasso corporeo tramite liquidi zuccherini per prepararsi ad affrontare la stagione fredda. Se tutto andrà bene, le femmine fecondate saranno le regine dell'anno successivo.

Nel frattempo, la vecchia regina, ormai troppo anziana per deporre altre uova nel nido, si allontana dal suo regno e muore di vecchiaia, attorno a settembre-ottobre. Dopo di essa, progressivamente, anche le operaie muoiono e la colonia si dirige rapidamente all'estinzione a causa del mancato ricambio generazione. I maschi e l'ultima nidiata di vespe immature (larve di maschi o ultime femmine ritardatarie) possono sopravvivere sino all'arrivo dell'inverno, periodo che in ogni caso non riescono a superare. Per la carenza di manodopera operaia, le ultime larve deperiscono per inedia, non più curate. Questa è la principale causa, assieme ai resti di cibo in decomposizione, del forte odore di marcio e ammoniaca caratteristico delle colonie mature, che si può avvertire aprendo un nido sviluppato. Odore che presagisce la fine imminente della colonia. Le uniche vespe a sopravvivere all'inverno sono le fondatrici, nate poco dopo i maschi e destinate ad andare in una sorta di letargo, dal quale si risvegliano la primavera successiva, per tentare di fondare nuove colonie.

Del nido, in inverno inoltrato, non resta che l'involucro cartaceo e le cellette abbandonate, spesso saccheggiate da formiche o utilizzate come rifugio invernale da altri insetti come rincoticoccinelle o qualunque altro insetto che in fase di adulto svernante cerchi rifugio. Non di rado, alcune femmine fecondate possono passare l'inverno sul nido, assieme agli altri animali ospiti.

I siti di ibernazione preferiti per le future regine sono di rado intercapedini di manifattura umana, il nido stesso o più di frequente tronchi d'albero marci o rifugi sottoterra.


Calabrone ripiegato.

Nido[modifica | modifica wikitesto]

Costruzione[modifica | modifica wikitesto]

Il nido è formato da una mistura di polpa di carta creata dalle vespe operaie con parti di alberi o materiale vegetale tagliato con le mandibole, masticati mischiati con la saliva, oltre a fango e altre derivazioni simili. e poi modellati a formare il nido dalle operaie. Questi pezzi non hanno una struttura uniforme, ma sono attaccati tra loro molto saldamente così da costituire uno strato unico.[2] Questo "cemento" è inoltre reso repellente all'acqua e consente alla colonia di sviluppare una barriera contro gli agenti atmosferici esterni. I materiali e le tecniche di costruzione così come i luoghi possono variare a seconda della nidificazione.[2]

Composizione chimica e fisica[modifica | modifica wikitesto]

Minerali come titanio (Ti), ferro (Fe) e zirconio (Zr) sono comunemente presenti nel suolo e pertanto si ritrovano anche nella composizione del nido del calabrone. Il peso del nido più grande mai trovato era di 80,87 grammi, da vuoto, a dimostrazione che la struttura si presenta estremamente leggera. Le celle interne sono di norma comprese tra i 4 e i 5 mm di lunghezza e gli 8-9 mm di diametro. Uno studio più approfondito di nidi recuperati in Turchia settentrionale ha evidenziato che ossigeno, carbonio e azoto sono gli elementi principali del nido, mentre sono state trovate tracce di silicio (Si), calcio (Ca), ferro (Fe) e potassio (K), ma non alluminio (Al), magnesio (Mg) o sodio (Na), dimostrando che i calabroni si basano sui materiali che trovano attorno al nido e quindi utilizzano il suolo locale. La percentuale di materiali vegetali è il 23% mentre il 77% è costituito da saliva di calabrone.[2]

Relazioni con l'uomo[modifica | modifica wikitesto]

Specie tutelate e protezione[modifica | modifica wikitesto]

La V. crabro per i motivi esposti più sotto è oggetto di continue distruzioni dei nidi, talvolta necessarie, e quindi si presenta come una specie potenzialmente a rischio. Alcuni paesi europei sono giunti a tutelare addirittura la specie, come nel caso della Germania dove secondo una legge del 1º gennaio 1987 incendiare dei nidi di calabrone è illegale, e comporta il rischio di incorrere in una multa.[3]

Danni alle coltivazioni[modifica | modifica wikitesto]

Come molti altri tipi di vespe, i calabroni recano ingenti danni alle coltivazioni frutticole, come pere, mele, prugne e uve. Una colonia di calabroni può compromettere irrimediabilmente l'intera produzione di un melo in poco tempo, spesso escavando solo la parte più matura del frutto per poi passare ad attaccarne un altro.

Problemi associati[modifica | modifica wikitesto]

I calabroni europei sono onnivori e come tali mangiano diverse altre specie di insetti molti dei quali sono considerati infestanti e quindi in questo senso essi apportano un beneficio a giardini e coltivazioni. A ogni modo, essi risultano dannosi nella misura in cui sono soliti nutrirsi anche di api domestiche (che cercano di portare vive nel nido per darle in pasto alle larve) compromettendo la riproduzione della specie, danni alle arnie, la produzione di miele e soprattutto l'impollinazione dei fiori.[4]

Veleno e punture[modifica | modifica wikitesto]

Il calabrone, pur tendendo a non attaccare naturalmente l'uomo, può rappresentare in molti casi una minaccia concreta. Solo la femmina punge, poiché il maschio è privo di pungiglione[5]. L'insetto, in caso di puntura, riesce a iniettare nel corpo dell'uomo solo una dose minima di veleno che sarebbe fatale per altri insetti, ma nell'uomo non comporta particolari problemi, a meno che a causa di allergia o ipersensibilizzazione pregressa non si verifichi una pericolosa reazione anafilattica. Una situazione di pericolo si presenta se il numero di punture è superiore a una, a causa del maggiore quantitativo di veleno entrato in circolo.

In tali casi il veleno del calabrone interferisce con il corretto funzionamento delle vie respiratorie, causando affanno o addirittura soffocamento. Nei casi più gravi può rendersi necessaria una tracheotomia. Le reazioni a seguito di punture di calabroni possono rivelarsi mortali [6].

Normalmente, la sensazione di dolore che si avverte subito dopo la puntura è data essenzialmente dall'infiammazione che il veleno iniettato determina nei primi strati della cute, mentre il gonfiore successivo è dato dalla reazione naturale dell'organismo. Poiché il pungiglione delle vespe non è uncinato come quello delle api è raro che il pungiglione si spezzi e rimanga ancorato nei tessuti, ma se così fosse può essere rimosso agevolmente.

Disinfestazione, eradicazione[modifica | modifica wikitesto]

Nel caso in cui il bilancio tra i benefici della presenza delle vespe crabro (distruzione di insetti nocivi alle colture e all'uomo) e gli svantaggi della medesima (danni alla frutta, predazione eccessiva di api, pericolo per l'uomo) sia sfavorevole alla permanenza dell'insetto in una data area si può procedere al suo contenimento numerico (riservando lo sterminio alle sole specie aliene quali le varianti di velutina). Numerosi i metodi messi a punto dall'esperienza soprattutto degli apicoltori.

Segnalazione alle istituzioni e loro intervento

La soluzione radicale è individuare i nidi e segnalarli alle autorità (vigili del fuoco, assessorati all’agricoltura, all’ambiente, alla salute). Le istituzioni e associazioni apistiche ovviamente sono concentrate alla eradicazione delle Velutine ma non abbassano la guardia di fronte alla Crabro.

Cattura-eliminazione diretta

Vi sono varie categorie di trappole per i calabroni in genere:

  • adesive (tipo vischio), autocostruite

  • ad annegamento costituite da un contenitore per l’esca e un coperchio di vario tipo che consenta l’ingresso ma non l’uscita dell’insetto nocivo, sia già pronte in commercio, sia completamente auto costruite, sia con uno dei tappi in commercio avvitato su contenitore alimentare standard (bottiglia o vaso in vetro)

  • meccaniche passive (specifiche per apicoltori), cassetti aggiuntivi alle arnie, reti, ecc.

  • luminose a ventola o griglia folgorante (come per le zanzare una lampada a luce fredda-azzurrognola attira gli insetti verso un aspiratore o una rete folgorante)

  • farmacologiche (veleni): solo per interni infestati dagli insetti nocivi o soggetti a loro incursioni, da non usare all’aperto perché sostanze nocive anche per le api

  • biologiche: piante carnivore specializzate in mosche e calabroni asiatici (in fase sperimentale).

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

La Vespa crabro è catalogata come appartenente al genere Vespa, un gruppo caratterizzato da specie eusociali. Questo genere è una sottofamiglia delle Vespinae, che sono note per masticare il loro cibo per nutrire i piccoli della loro specie e costruire i nidi con materiali simili alla carta, derivati in realtà da fibre vegetali. Secondo recenti studi filogenetici, sono strettamente imparentati con la Vespa dybowski[7].

Insetti parassiti: Chi siamo
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Blatta Orientalis

Blattoideo

Blatta orientalis Linnaeus1758, conosciuta anche come scarafaggio nero comune, è un insetto appartenente all'ordine dei Blattodea[1]. È la più comune blatta che infesta le abitazioni; originaria della Russia, è ormai diffusa in tutto il mondo, fatta eccezione per le zone con clima eccessivamente rigido.

La colorazione è bruna tendente al nero. Questa specie presenta un dimorfismo sessuale: mentre il maschio ha ali normali, la femmina ha ali anteriori molto brevi, ali posteriori atrofiche ed entrambe non sono in grado di volare. La lunghezza è compresa tra i 25 e i 33 mm. È caratterizzata dalla forma appiattita e da lunghe antenne filiformi.

Ciclo vitale

Le femmine maturano un massimo di 16 uova nelle ooteche, lunghe 10 mm, che successivamente vengono deposte in ambienti favorevoli allo sviluppo della prole. Le neanidi schiudono generalmente di notte, sfruttando l'ampolla cervicale per rompere l'ooteca ed uscire all'aperto. Il ciclo vitale è relativamente lungo: viene completato in circa 10-15 mesi a seconda del clima e delle disponibilità di cibo. Lo stadio di uovo dura da 37 a 81 giorni, quello di ninfa dalle 24 alle 140 settimane, quello della vita da adulto dalle 5 alle 26 settimane.


Ooteche di Blatta orientalis

Habitat e comportamento[modifica | modifica wikitesto]

La Blatta orientalis è diffusa in tutto il mondo, soprattutto nelle zone a clima temperato in quanto predilige ambienti più freddi rispetto alle altre specie dell'ordine Blattodea. È diffusa soprattutto nelle zone antropizzate, dove molto spesso la sua presenza è legata a condizioni di scarsa igiene. La sopravvivenza è legata alla presenza abbondante di acqua più delle altre specie. Si sviluppa nelle abitazioni riscaldate, dove vi è abbondanza di nascondigli e cibo, o in luoghi non esposti a grandi sbalzi di temperatura.
Questa specie è relativamente letargica, predilige il movimento nelle ore notturne ed evita ambienti luminosi: la sua comparsa in orario diurno indica una grande infestazione. A causa della morfologia delle zampe non è in grado di arrampicarsi su pareti verticali e si muove strisciando. Rispetto alle altre specie è più lenta e meno prudente.
È molto vorace, praticamente onnivora.

Parassiti[modifica | modifica wikitesto]

Tra i parassiti di questa specie i più diffusi sono due Imenotteri: l'evanide (Evania appendigaster) e il calcidoideo (Tetrastichus hagenowi), le cui larve si sviluppano nelle ooteche e vivono a spese delle uova.

Rapporti con l'uomo[modifica | modifica wikitesto]

La Blatta orientalis, oltre ai danni che porta all'uomo nutrendosi delle sue derrate alimentari, trasferisce a queste il disgustoso odore delle sue ghiandole repugnatorie, è ospite intermedio di Nematodi e vettore di Protozoi e di uova di Nematodi e Cestodi, emesse tramite le feci dell'insetto.
Le malattie portate dalla Blatta orientalis sono molteplici e pericolose: dalla salmonellosi al colera, causato dal batterio Vibrio cholerae, a fenomeni di dissenteria, legati agli enterobatteri, all'epatite A e alla poliomielite.
Inoltre l'insetto libera nell'aria sostanze che possono causare l'insorgere di varie disturbi allergici in persone predisposte a tali patologie.

Metodi di lotta[modifica | modifica wikitesto]

Attualmente il metodo più efficace per liberarsi delle blatte è utilizzare un'esca alimentare che loro riporteranno nel nido e distribuiranno all'intera colonia, determinandone la morte [2] [3].

Insetti parassiti: Immagine
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Blatta Germanica

Blattoideo

Blattella germanica, è una piccola specie di scarafaggio della famiglia Blattellidae, dalla forma snella e allungata le cui dimensioni variano da 1,3 cm a 1,6 cm di lunghezza, di colore marrone chiaro in alcuni casi tendente al rosso. Essa è anche detta Blatta o Blattella germanica, Blatta o Blattella fuochista, o semplicemente Fuochista, Mangiapane e/o Mangiapane della cucina o Mangiapane delle cucine.

Femmina con ooteca

La testa piccola rispetto al resto del corpo è caratterizzata da lunghe antenne molto mobili; anche il torace è piccolo e la sua parte dorsale (pronoto) presenta due strisce nere che la rendono facilmente riconoscibile. L'addome molto sviluppato rappresenta circa il 50% del corpo ed è diviso in settori.

Queste neanidi, nel giro di 40 giorni dalla nascita passano attraverso alcune mute (5-7) raggiungono lo stadio adulto e, dopo meno di dieci giorni le femmine cominciano a deporre nuove ooteche. L'intervallo tra la deposizione di un'ooteca e la successiva è di circa 3 settimane. Le ooteche vengono generalmente nascoste in posti sicuri, difficilmente raggiungibili, e risultano tra l'altro praticamente impermeabili nei confronti dei normali prodotti insetticidi. Qualora non sia disponibile un luogo idoneo per la deposizione, la femmina può portarsi appresso l'ooteca per un breve periodo di tempo.

I due sessi sono facilmente distinguibili e per dimensioni (la femmina raggiunge una lunghezza maggiore e ha l'addome più largo) e per alcune caratteristiche: nella femmina l'addome è arrotondato ed è completamente ricoperto dalle ali mentre nel maschio i settori terminali dell'addome non sono coperti dalle ali e l'addome stesso risulta più snello.

Biologia

Questa blatta presenta ali in entrambi i sessi; esse sono ben sviluppate ma vengono utilizzate solo se la blatta viene disturbata o nel caso di salti e/o cadute dall'alto. È onnivora e la sua vita mediamente si aggira attorno alle 30 settimane. La Blatta germanica è molto prolifica: una femmina nel suo completo ciclo vitale produce fino a 8 ooteche contenenti dalle 30 alle 40 uova che si schiudono in circa 20 giorni. In questo modo in poche decine di giorni una femmina è in grado di dar vita ad una colonia di centinaia di individui. È uno scarafaggio molto attivo, scattante e rapido nei movimenti ed è dotato di ventose che gli permettono di muoversi anche sui muri o sul soffitto. Reagisce in modo pronto agli stimoli esterni anche a quelli acustici. Come la maggioranza delle blatte, questa specie è lucifuga: non ama cioè l'esposizione alla luce, per cui svolge le sue attività preferibilmente di notte, o comunque in situazioni scarsamente illuminate. Particolare e caratteristica è la necessità di rifugiarsi in fessure che permettano di sentire il contatto con la parte dorsale del corpo. Altra necessità per la blatta germanica è la presenza di cibo, di conseguenza è usuale trovarla in bar, ristoranti, magazzini di derrate, ma molto frequentemente anche nelle abitazioni, in punti umidi e caldi (per questo chiamata blatta fuochista) come ad esempio tinelli, spazi dietro e sotto frigoriferi o lavatrici, bagni.

Metodi di lotta:

Attualmente il metodo più efficace per liberarsi delle blatte è utilizzare un'esca alimentare che loro riporteranno nel nido e distribuiranno all'intera colonia, determinandone la morte

Insetti parassiti: Immagine
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Supella Longipalpa

Blattoideo

Supella longipalpa, è una piccola specie di scarafaggio della famiglia Blattellidae, presente in Italia da alcuni decenni.

Di colore marrone chiaro, le sue dimensioni variano da 1,0 cm a 1,4 cm di lunghezza.

 Le antenne sono lunghe circa una volta e mezzo il corpo.

È caratterizzata da due bande trasversali di colore chiaro su addome e ali, da cui il nome comune inglese brown banded cockroach (scarafaggio a fasce marroni).

Le femmine appaiono più larghe dei maschi. Le ali sono presenti in entrambi i sessi ma sono più sviluppate nei maschi che, se disturbati, possono compiere brevi voli.

Ciclo vitale

La femmina adulta produce l’ooteca al cui interno si trovano le uova. Per un paio di giorni porta l’ooteca con se, poi la deposita in un luogo caldo e sicuro. L'ooteca è lunga 4-6 millimetri e contiene 14-18 uova. Viene incollata sotto mobili, dietro cornici, pareti e controsoffittature. Una femmina depone circa 14 ooteche nel corso della sua vita.

L'incubazione delle uova dura circa 50-75 giorni dopo di che le uova si schiudono e nascono le neanidi che restano in questo stadio per circa 160 giorni.

Tra le blatte, è una specie discretamente longeva, con una vita che può arrivare a oltre 9 mesi.

Diffusione

Di origine africana, secondo alcuni proveniente dal Sudan, è presente in Nord America e in Europa, probabilmente importata attraverso il trasporto navale. Dai primi del ‘900 è stata involontariamente introdotta nelle aree meridionali degli Stati Uniti.

La sua presenza in Italia è documentata almeno dal 1979.

Habitat e comportamento

Rispetto a Blattella germanica necessita meno umidità e si adatta bene ad ambienti caldi e asciutti.

É capace di scalare pareti verticali, e si adatta a cibarsi anche di colla di origine animale, da cui il suo nome comune 'blatta dei mobili'. Infatti, quando colonizza gli ambienti umani, la si può trovare in mobili, scaffali, librerie e controsoffitti, anche negli uffici. Nella ricerca di luoghi riscaldati può prediligere anche apparecchiature elettriche che producano calore, come la televisione e il dissipatore del frigorifero.

Come la maggioranza delle blatte, questa specie è lucifuga: non ama l'esposizione alla luce, per cui svolge le sue attività preferibilmente di notte, o comunque in situazioni scarsamente illuminate. La sua comparsa in orario diurno è solitamente indicazione una grande infestazione.

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Periplaneta Americana

Blattoideo

Periplaneta americana

Blatta americana


Nomenclatura binomiale

Periplaneta americana

La blatta americana (Periplaneta americana  è un insetto blattoideo della famiglia Blattidae. È uno degli insetti infestanti più comuni nelle aree urbane di tutto il mondo ed è la specie di blatta più grande tra quelle che condividono gli ambienti di vita con l'uomo.

Indice​

Descrizione

La blatta americana ha un colore marrone rossastro, leggermente giallognolo lungo il margine dello scudo del pronoto, che chiude un'area centrale marrone scuro. È un insetto di dimensioni notevoli, variabili da 34 a 53 mm (in media 40 mm). Come in tutte le blatte, la femmina presenta un addome più largo rispetto al maschio. Le ali sono ben sviluppate in entrambi i sessi: nel maschio più lunghe dell'addome, nella femmina di pari lunghezza.
L'ooteca ha un colore variabile tra il rosso scuro e il marrone scuro, è lunga circa 8 mm e larga 5. Presenta dei solchi di suddivisione che non arrivano a metà larghezza e generalmente può contenere fino a 16 uova distribuite metà su ogni lato.
Nei primi stadi ninfali, che son molto difficili da vedere, la colorazione è uniformemente marrone grigiastra sul lato dorsale e più chiara e lucida ventralmente. I cerci sono sottili, distintamente assottigliati dalla base verso l'estremità e circa 5 volte più lunghi che larghi. Gli stadi ninfali più avanzati sono di colore marrone rossastro con i margini laterale e posteriore del torace e le aree laterali dei segmenti addominali un po' più scuri. Le antenne sono di colore uniformemente marrone.

Biologia

La blatta americana è un volatore modesto e raramente vola. Inoltre è un mediocre arrampicatore e la maggior parte delle volte lo si può vedere per terra. Può facilmente spostarsi su superfici ruvide, come legno o blocchi di cemento, ma non riesce ad arrampicarsi su muri o altre superfici lisce. Se si trova uno scarafaggio su un mobile (es. tavolo, sedia) è molto probabile che vi sia arrivato cadendo dall'alto di un soffitto, dopo aver perso la presa. Questi insetti hanno però delle capacità corsorie notevoli e riescono a spostarsi molto velocemente a terra. Generalmente sono attivi nelle ore notturne; vederli alla luce del giorno presuppone l'esistenza di una notevole infestazione. Infatti in tali orari solitamente riposano in zone oscure e riparate. Istintivamente rifuggono la luce: infatti, se di sera si accende improvvisamente l'interruttore della luce in un locale infestato, si vedranno le blatte, che stavano liberamente scorrazzando, precipitarsi fulmineamente nelle zone più riparate ed oscure della stanza.

Dieta

Dal punto di vista alimentare P. americana è una specie onnivora e opportunistica. Questi scarafaggi si nutrono generalmente di materia organica in putrefazione, ma mangiano praticamente qualsiasi cosa. Preferiscono le sostanze dolci e sono ghiotti di liquidi fermentati, tanto da essere stati trovati anche in bottiglie di birra semivuote. Tra i loro alimenti vi sono: carta, scarpe, capelli, pane, frutta, rilegature di libri, pesce, arachidi, riso, sakè, pelle animale, stoffa e insetti morti.

Ciclo vitale

Le ooteche contengono fino a 16 uova, con una media di 10, e vengono depositate e cementate su superfici vicine a fonti di nutrimento o lasciate cadere in crepe. La femmina non depone la capsula delle uova appena questa è formata, ma la può portare con sé, come un corpo che sporge posteriormente dal suo addome, per un periodo che varia tra qualche ora e 4 giorni. Le uova si schiudono in circa due mesi, e raggiunge la maturità con 13 mute in circa 6 mesi. La femmina può produrre 12-14 ooteche che schiudono dopo 1-1,5 mesi. Il potenziale della specie è alto, se non viene frenato dal freddo invernale. Lo sviluppo si compie in un periodo di durata variabile tra 5 e 15 mesi in relazione alle condizioni di temperatura e umidità. Gli stadi giovanili passano attraverso 7-13 mute e gli animali adulti possono vivere anche più di un anno. In allevamenti di laboratorio raggiungono anche i 2-3 anni di età. Diversi cicli, durante l'anno si accavallano ed è quindi possibile trovare contemporaneamente adulti, neanidi e ninfe di ogni età, nonché ooteche.

Distribuzione e habitat

Diversamente da quanto si potrebbe desumere dal suo nome, non è originario del Nord America ma è stato introdotto in tutto il mondo dall'Africa settentrionale, diffuso principalmente attraverso le navi commerciali. È una specie cosmopolita e la sua diffusione è seconda solo a quella della Blattella germanica. In Italia è più frequente nelle regioni meridionali, specialmente nelle città portuali.
Questi insetti vivono sia all'aperto che in luoghi chiusi e preferiscono ambienti bui e umidi sia freschi che caldi. Si sono adattati a vivere negli edifici (in seminterrati, attorno ai tubi dei bagni, negli scarichi delle fognature), sulle navi, nei ristoranti, nelle drogherie, nelle panetterie, nelle serre e, più in generale, ovunque si preparino o conservino delle derrate alimentari. Negli insediamenti urbani i loro spostamenti si svolgono soprattutto lungo la rete fognaria. Raramente si trovano nelle case, ma dopo forti piogge, si possono verificare anche delle infestazioni di questi ambienti. Occasionalmente sono stati trovati sotto le tegole di tetti e in sottotetti. Possono formare colonie anche enormi, con un numero di individui superiore a 5000 concentrati in un singolo tombino. All'aperto frequentano luoghi umidi e ombreggiati nei giardini, in alberi cavi, cataste di legna, pagliai, mucchi di concime o altro materiale organico.

Rapporti con l'uomo

Lo scarafaggio è morfologicamente predisposto ad agire come vettore meccanico di batteri e altri microorganismi raccolti nella sporcizia che trova sul suo cammino. Oltre a veicolare microbi col corpo, con le zampette spinose e con le lunghe antenne, li dissemina nell'ambiente attraverso le deiezioni e rigurgiti. È portatore di enterobatteri e salmonelle. Il loro materiale fecale, così come i peli e la cuticola, sono fonti di allergie e malattie asmatiche per molte persone. Inoltre il loro odore è molto sgradevole.

Metodi di lotta

Attualmente il metodo più efficace per liberarsi delle blatte è utilizzare un'esca alimentare che loro riporteranno nel nido e distribuiranno all'intera colonia, determinandone la morte. 

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Carabide

Coleotteri

I Carabidi  sono una famiglia di coleotteri diffusa in tutto il mondo con oltre 40.000 specie. Di queste 1300 sono distribuite in Italia.

Descrizione

I carabidi sono coleotteri adefagi terrestri. Variano da 0.7 mm a 8 cm e sono caratterizzati da antenne filiformi (tranne i Paussinae) e tarsi pentameri.
Non presentano adattamento alla vita acquatica, ma molti di loro hanno perso la capacità di volare, diventando brachitteri o atteri. In queste specie le elitre sono spesso saldate lungo la sutura.
Altre caratteristiche frequenti sono il corpo prevalentemente scuro e a volte iridescente, testa e mandibole di grandi dimensioni, un bordo molto pronunciato sul pronotoelitre generalmente striate e zampe cursorie (lunghe, adatte alla corsa).

Biologia

Gli adulti compaiono a partire dalla primavera. La maggior parte delle specie è predatrice di altri insetti o molluschi.

Tassonomia

Si tratta di una delle famiglie più numerose del regno animale, contenente circa 40.000 specie, divise in sottofamiglie

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Pulce

Ematofagi

I sifonatteri (Siphonaptera) o afanitteri (Aphaniptera), noti comunemente come pulci, sono un ordine di insetti privi di ali.

Le pulci sono parassiti esterni ematofagi: si nutrono del sangue di mammiferi e uccelli. In passato si è a lungo ritenuto che le pulci si fossero evolute dai ditteri. È grazie alla loro discendenza che gli esemplari di questo ordine si trovano nella sottoclasse tassonomica degli Pterigoti pur essendo sprovvisti di ali. Tuttavia, elementi morfologici e genetici indicano che le pulci siano discendenti dei mecotteri della famiglia dei boreidi; di conseguenza, potrebbero essere riclassificate in futuro come sottordine dell'ordine Mecoptera, anche alla luce della scoperta di Caurinus tlagu nel 2013, un mecottero somigliante ad una pulce nell'aspetto e nell'abilità di compiere salt. Fra le specie di pulci più comuni si possono citare la Ctenocephalides felis (parassita del gatto), Ctenocephalides canis (parassita del cane), Pulex irritans (parassita dell'uomo), Nosopsyllus fasciatus e Xenopsylla cheopis (parassiti del ratto).

Le pulci vengono spesso confuse con i diversi pidocchi, anch'essi insetti atteri e parassiti dell'uomo e di molti altri mammiferi e uccelli, appartenenti all'ordine dei Siphunculata o anopluri.

Le pulci sono animali di piccole dimensioni, totalmente atteri (cioè privi di ali). L'esoscheletro è in genere compatto e robusto; Il capo è compresso contro il torace, poco mobile, con antenne tri-articolate molto brevi e apparato boccale pungente-succhiatore; le zampe sono altrettanto robuste, e la coppia posteriore è particolarmente sviluppata e consente alla pulce salti di notevole altezza. Tale azione è data da particolari muscoli che prima flettono le zampe, poi un meccanismo di presa le mantiene flesse finché altri muscoli rilasciano la presa permettendo all'energia accumulata di estendere rapidamente le zampe consentendo il salto.

Le pulci hanno un ciclo di vita completo che comprende le fasi di uovolarvapupa e adulto. La trasformazione da uovo a adulto richiede un tempo variabile da due settimane a otto mesi, in funzione delle condizioni climatiche, dalla disponibilità di cibo e dalla specie.

La femmina depone circa 15-20 uova al giorno (circa 600 nell'arco della sua vita), in genere subito dopo essersi nutrita. Le uova vengono deposte sull'ospite. Possono fare da ospite un grandissimo numero di mammiferi (incluso l'uomo) e di uccelli. Le uova, deposte sulla peluria o su penne e piume, possono facilmente cadere e diffondersi nell'ambiente, specialmente nel luogo dove l'ospite si riposa, dorme o nidifica.

Le uova si schiudono in un tempo compreso fra due giorni e due settimane. Nelle abitazioni umane infestate, le larve possono trovarsi nelle crepe dei pavimenti, sotto i bordi dei tappeti, nei letti; all'aperto, la sabbia è uno degli habitat preferiti.

Le larve sono cieche, e si sviluppano in un arco compreso fra una settimana e diversi mesi, passando attraverso tre stadi larvali. Non succhiano direttamente il sangue; si nutrono delle feci di pulci adulte, o frammenti di pelle, pelo o piume.

La metamorfosi da pupa ad adulto avviene all'interno di un bozzolo setoso tessuto dalla larva, a cui aderiscono frammenti di peluria o altri materiali analoghi. Il processo della metamorfosi dura da cinque a quattordici giorni; le pulci adulte possono uscire subito dal bozzolo o attendere di percepire vibrazioni, pressione, calore o diossido di carbonio, tutti segnali che rivelano la potenziale presenza di una fonte di cibo.


Larva di pulce

La maggior parte delle pulci passano l'inverno nella fase di larva o pupa. La "stagione delle pulci", in cui gli adulti sono attivi, è l'estate o l'inizio dell'autunno. Il numero di individui che sopravvivono all'inverno dipende dalla temperatura; il tasso di sopravvivenza è massimo negli inverni più miti. Nelle aree più calde, per esempio equatoriali e tropicali, gli adulti possono essere presenti durante tutto l'arco dell'anno.

Importanza patogena


Punture di pulce sulla schiena di un uomo

L'importanza patogena degli Aphaniptera, pur non potendosi paragonare a quella dei Ditteri, risulta tuttavia notevole.
Nella maggior parte dei casi la pulce dell'uomo (Pulex irritans Linnaeus) è più molesta a causa dei suoi movimenti sulla cute che per le sue punture; provoca al suo ospite solo fastidio (arrossamento cutaneo e prurito); tuttavia, alcune persone e alcuni animali possono soffrire di allergia alla saliva delle pulci, e riportare questi sintomi in forme particolarmente violente. In casi estremi, ripetuti morsi di pulce possono causare anemia nell'animale ospite. L'azione delle pulci penetranti è più impegnativa perché alle lesioni prodotte dal parassita possono aggiungersi complicazioni settiche e gangrenose, artriti, necrosi ossee e tendinee, fistole, caduta di falangi o di dita, ecc.

Le pulci possono anche essere vettori o ospiti intermedi, di virus zoopatogeni, di batteri (Enterobatteriacee del genere Salmonella Lign., come la S. enteritidis (Gärtn.) Castell. et Chalm e la S.typhimurium Loeff; Parvobatteriacee del genere Pasteurella Trev., come la P. pestis Lehm. et Neum. e la P.tularensis (McCoy et Chapin) Berg.; Rickettsiaceae del genere Rickettsia Rocha Lima, come la R. prowazekii Rocha Lima e la R. mooseri Monteiro; di Protozoi, Nematelminti, Platelminti, ecc.; fra le quali è particolarmente pericolosa la Xenopsylla cheopis Rothsch, forma subcosmopolita, ma più frequente nei paesi caldi, che trasmette la peste bubbonica, malattia primaria dei Rosicanti.

Rimedi

Trattamento della puntura

La puntura di pulce può essere trattata con idrocortisone.

Pulci degli animali domestici

Per animali domestici come cani e gatti esistono prodotti veterinari di vario genere che contrastano l'infestazione da parte di pulci. Questi prodotti allontanano le pulci dagli animali, ma non difendono il proprietario o l'abitazione. È necessario, pertanto, controllare tappeti e divani.

Pulci nelle abitazioni

L'infestazione di una abitazione deve essere combattuta con strumenti che interrompono il ciclo di vita della pulce, impedendone la riproduzione. In genere, si utilizzano pesticidi analoghi a quelli usati per combattere le tarme. Esistono pesticidi nati specificamente per gli ambienti domestici; il problema dei prodotti antipulci sta nell'azione: alcuni riescono ad uccidere solo gli individui adulti ma non agiscono su uova e larve, altri sono specifici per le larve ma non intaccano gli adulti. Per questo motivo, l'utente è costretto a effettuare diversi cicli di trattamento o a scegliere un prodotto ad ampio raggio da usare, in un'unica soluzione, per l’eliminazione di pulci e larve.

Significati derivati


Giuseppe Maria CrespiCercatrice di pulci, 1710-1730 (Uffizi)

Derivano il loro nome dalla pulce anche alcuni crostacei di piccole dimensioni e capaci di saltare: la pulce d'acqua e la pulce di mare.

I riferimenti metaforici e informali alle pulci sono paragonabili, per significato e ambito, a quelli al pidocchio. Le parole "pulce" o "pidocchio" possono essere usate per riferirsi (in modo sprezzante o affettuoso) a cose di dimensioni molto piccole, insignificanti, a persone minute e così via. "Pulcioso" o "pidocchioso" sono aggettivi usati per riferirsi a persone indigenti o ambienti poveri. Vi è inoltre il modo di dire "Fare le pulci", che si rifà all'immagine ideale di una persona che 'spulcia' (altra parola, stavolta verbo, derivata) un'altra, ovvero la ripulisce dalle pulci, per riferirsi a una serie di domande o di indagini particolarmente minuziose e che non tralasciano alcun particolare. Un mercato delle pulci è un mercato di oggetti usati (di scarso valore).

Il circo delle pulci è uno spettacolo di intrattenimento dei circhi in cui vengono mostrate pulci impegnate in azioni insolite, come tirare un carro in miniatura.

Le pulci sono un gioco tradizionale diffuso in tutto il mondo, costituito da piccoli dischi di plastica che saltano quando sono premuti con decisione ai bordi.

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Cimice dei letti

Ematofagi

La cimice dei letti (Cimex lectularius Latreille, 1802), della famiglia Cimicidae, è una specie di insetto ectoparassita ematofago obbligato dell'uomo e di altri animali a sangue caldo.
Si pensa che il parassitismo dell'uomo da parte di questo artropode risalga agli albori della razza umana. La cimice dei letti era uno dei più diffusi parassiti dell'uomo fino agli anni '40 del XX secolo. Da quel momento la sua presenza nel mondo ha subito un inesorabile declino fino a scomparire quasi del tutto. Le cause di ciò non sono ancora state del tutto comprese: sembra che la messa in commercio del DDT abbia apportato in quel momento un contributo decisivo. A partire dagli anni '90 del XX secolo la cimice dei letti è ricomparsa in molti Paesi e intorno agli 2000 si è nuovamente diffusa in America, in Europa, Australia, Africa e Asia. Sembra che a favorirne la ricomparsa siano state varie concause, come l'introduzione del riscaldamento centralizzato negli edifici, la globalizzazione, l'aumento dei viaggi nel mondo, e non ultimo una resistenza biologica che questo insetto ha sviluppato nei confronti di varie categorie di biocidi (piretroidi, carbammati, organofosforici, ecc). La sua attività ematofaga determina nell'uomo l'insorgenza di lesioni di tipo strofuloide altamente pruriginose causate da una reazione iperimmune nei confronti di alcune sostanze contenute nella saliva di questo insetto e secrete durante il pasto di sangue.

L'adulto di colore rosso-brunastro è lungo circa 6 mm e si presenta schiacciato dorso-ventralmente. Ciò rende l'insetto abile nell'infilarsi in ogni più piccolo recesso. La testa è dotata di due occhi composti, un paio di antenne dotate di recettori sensibili al calore e a determinati composti chimici, come l'anidride carbonica. L'apparato boccale è di tipo pungente succhiante. I pezzi boccali si sono adattati e trasformati nel corso dell'evoluzione in un rostro allungato in grado di penetrare la cute dell'ospite e di aspirare il sangue durante il pasto di sangue. Il torace presenta delle caratteristiche espansioni laterali. Dorsalmente sono presenti una coppia di squame cutanee, dette emielitre, che rappresentano delle ali vestigiali. L'addome è costituito da 11 segmenti tenuti insieme da membrane intersegmentali dotate di un notevole grado di stiramento, favorendo durante il pasto di sangue la distensione dell'addome e l'accumulo nell'apparato digerente di una notevole quantità di sangue. Le forme giovanili immature, chiamate neanidi o ninfe, si possono facilmente distinguere dagli adulti per le ridotte dimensioni, un minor grado di sclerotizzazione del tegumento (minore negli stadi giovanili più immaturi), l'assenza degli organi riproduttivi, e altre caratteristiche morfologiche di minore evidenza.

Ecologia

La cimice dei letti è un insetto gregario ad abitudini notturne che durante il giorno si nasconde dalla luce del sole (fototropismo negativo) in anfratti o fessure di ogni tipo, formando aggregazioni di decine, centinaia o migliaia di individui. I siti di annidamento, detti anche focolai di sviluppo, normalmente sono localizzati nei pressi dei luoghi dove sosta l'uomo nelle ore notturne. L'unione degli individui in un focolaio viene mantenuta attraverso l'emissione da parte degli insetti di un “feromone di aggregazione”, costituito da una miscela di 10 molecole chimiche, principalmente di natura aldeidica. Generalmente durante la notte le cimici fuoriescono dai propri nascondigli per pungere l'uomo, che rappresenta il suo ospite d'elezione. Le cimici dei letti sono attive e vitali tra i 15 °C ed i 37 °C. Al di sotto dei 15 °C e al di sopra dei 37 °C lo sviluppo s'interrompe. Negli ambienti infestati le cimici preferiscono rifugiarsi in nascondigli situati nel legno, nei materiali cartacei e nei tessuti. Infestano molto spesso i materassi, in particolare i bordi e le cuciture del materasso, le gambe di appoggio e l'interno di eventuali rotelle di plastica dei letti, le doghe di legno e le molle delle reti. In genere possono essere infestati qualsiasi fessura o crepa delle pareti, i bordi esterni dei tappeti, gli interruttori elettrici e le prese di corrente, le cornici, i quadri, le tendine, eccGli insetti adulti possono sopravvivere, in assenza di un ospite di cui nutrirsi ed in funzione della temperatura ambientale per molto tempo, da alcuni mesi fino ad 1 anno per gli adulti, mentre le neanidi per più di tre mesi. La via principale di diffusione è rappresentata da persone o oggetti venuti in contatto con un ambiente infestato e che veicolano degli esemplari di Cimex lectularius e/o loro uova. Persone che soggiornano in ambienti infestati possono così inconsapevolmente consentire alle cimici di nascondersi durante le ore notturne nelle valigie o nei vestiti, trasportando in seguito gli insetti fino alla propria abitazione o in altri luoghi. Lo scambio di materiale usato può determinare lo spostamento di oggetti contaminati in nuovi ambienti con il serio rischio di diffondere l'infestazione.

Ciclo vitale

La cimice dei letti è un insetto a metamorfosi incompleta. Il ciclo vitale prevede lo stadio di uovo, cinque stadi ninfali e l'adulto. Ogni stadio ninfale svolge attività ematofaga obbligata, necessaria alla muta allo stadio successivo. Gli adulti di entrambi i sessi svolgono anch'essi attività ematofaga obbligata. Il ciclo vitale è per la maggior parte influenzato dalla disponibilità di ospiti e dalla temperatura ambientale. In misura molto minore dall'umidità, visto che gli adulti tollerano ampi intervalli: dal 30 al 70%. La temperatura ottimale si attesta sui 30 °C. In queste condizioni un intero ciclo uovo-adulto si compie in circa 24 giorni. Una femmina adulta si accoppia generalmente dopo ogni pasto di sangue e, con temperature di 26 °C, comincia a deporre circa 2-3 uova al giorno dopo circa 3 giorni. La fertilità viene mantenuta per tutta la vita della femmina. Una femmina può produrre nel corso della propria vita circa 200-300 uova.

Azione patogena

Le punture della cimice dei letti esitano in lesioni pruriginose di tipo strofuloide. Le lesioni derivano dal trauma cutaneo associato alla puntura e da una reazione immunitaria di ipersensibilità che può essere sia di tipo immediato che di tipo ritardato. Alcuni soggetti manifestano una sorta di insensibilità alla puntura, non presentando una sintomatologia cutanea evidente. Le lesioni sono localizzate in genere nelle regioni scoperte del corpo: gambe, braccia e viso. In molti casi hanno una distribuzione lineare. Le lesioni compaiono da pochi minuti ad alcune ore dalle punture, a seconda dei soggetti e del tipo di risposta immunitaria e perdurano per due o tre settimane.

Azione vettoriale

Non è stata ancora accertata la capacità vettoriale della cimice dei letti nel trasmettere malattie infettive. Secondo un recente studio è stata accertata la capacità vettoriale nella trasmissione del Trypanosoma cruzi, agente eziologico della malattia di Chagas, tra topi in condizioni sperimentali di laboratorio.

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Zecche dei piccioni

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Come è evidente dal nome comune di "zecca dei piccioni", Argus reflexus parassita principalmente i piccioni (Columba livia), ma occasionalmente anche gli esseri umani. Per gli umani in particolare l'interesse sanitario è crescente: da un lato può essere veicolo di patogeni, dall'altro il rischio anafilattico, anche grave, nel momento in cui l'Argas reflexus punge per succhiare il sangue, è legato soprattutto all'immissione nel sangue dell'ospite di tossine.

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Formica

Imenottero

Formicidae Latreille, 1809 è una vasta famiglia di insetti imenotteri, comunemente conosciuti con il nome generico di formiche.

Le formiche mostrano la massima diversità nelle zone a clima tropicale, come l'America del Sud, l'Africa e l'Australia orientale ma hanno molte specie anche nelle regioni temperate del pianeta.
Le formiche, come molti altri imenotteri, sono insetti eusociali. Nelle loro società, che variano in dimensioni e in organizzazione a seconda delle specie, vi è una classe riproduttiva - costituita dalle regine (femmine fertili) e dai maschi - e una lavorativa, costituita da femmine attere e sterili, dette operaie.

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Evoluzione

Si ipotizza che le formiche siano apparse sulla terra tra 140 e 168 milioni di anni fa, contemporaneamente alle angiosperme, evolvendosi dalle vespe solitarie.
Finora, il più antico fossile ritrovato testimonia l'esistenza, nel tardo Cretaceo, di una specie con molte caratteristiche fisiche vespoidali (occhi composti grandi, scapi ridotti e addome flessibile), che è stata battezzata Sphecomyrma freyi. Finora si conoscono circa 5 sottofamiglie estinte. Le specie più antiche esistenti ancora oggi appartengono ai generi Amblyopone e Proceratium, sebbene la specie più primitiva, che conserva una struttura sociale tipica delle prime specie comparse, sia Prionomyrmex macrops.

Caratteristiche generali

Morfologia

Come gli altri insetti, le formiche hanno il corpo diviso in capotorace e addome. Hanno sei zampeapparato boccale masticatore con robuste mandibole e antenne genicolate. Tra il torace e l'addome le formiche hanno un restringimento derivato dalla modificazione strutturale dei primi due uriti del gastro, nodulare o squamiforme, che prendono il nome di peziolo e post-peziolo.
Il colore più tipico delle formiche è nero, ma ve ne sono molte che variano dal rosso all'arancione al giallo e al verde (Oecophylla smaragdina e Rhytidoponera metallica). Le antenne sono costituite da una parte basale, costituita dallo scapo e dal pedicello, e una flessibile, detta funicolo, costituita da una serie di segmenti il cui numero varia a seconda delle specie.

Aspetto fisico

Morfologia di una formica (Pachycondyla verenae):

  1. Funicolo

  2. Stelo o scapo

  3. Lobo frontale

  4. Fossa antennale

  5. Clipeo

  6. Mandibole

  7. Pronoto

  8. Occipite

  9. Occhio composto

  10. Scutello

  11. Mesonoto

  12. Spiracolo mesotoracico

  13. Anepisterno

  14. Metanoto

  15. Spiracolo mesotoracico

  16. Propodeo

  17. Spiracolo propodeo

  18. Ghiandola metapleurale

18a. Bolla

18b. Orifizio

  1. Peziolo

  2. Postpeziolo

  3. Tergite

  4. Sternite

  5. Pungiglione

  6. Femore

  7. Tibia

  8. Artiglio tarsale

  9. Sperone tibiale

  10. Tarso

  11. Catepisterno

  12. Coxa

  13. Trocantere

  14. Processo ventrale

  15. Capo

  16. Mesosoma

  17. Peziolo

  18. Gastro

Le operaie delle formiche hanno dimensioni variabili da 1 a circa 30 mm di Dinomyrmex gigas; di norma le femmine feconde (le cosiddette regine) sono più grandi delle operaie sterili e in alcune specie possono raggiungere anche i 6 cm (Dorylus wilverthi).

Le operaie hanno un capo grosso e robusto, mandibole forti ma meno sviluppate di quelle dei soldati, occhi piccoli, antenne formate da undici o dodici segmenti o anche meno. Dopo i due segmenti del peduncolo addominale, l'addome si ingrossa e al suo apice porta l'aculeo a volte funzionante, mentre in altri casi è atrofizzato (FormicinaeDolichoderinae). Le operaie e i soldati differiscono perché i secondi hanno un capo molto più grosso. La femmina feconda è più grossa, possiede gli ocelli e le ali che però cadono dopo l'accoppiamento. I maschi sono in genere piccoli, sempre provvisti di ali e hanno occhi e ocelli molto sviluppati; il loro torace è più grande, mentre le tre paia di zampe, comuni a tutti gli insetti, sono piccole. In quasi tutte le specie, le operaie sono prive di ocelli, anche se le regine e i maschi ne sono spesso muniti. L'apparato digerente delle formiche comprende due espansioni a sacco, dette ingluvie e ventriglio. Nel primo sacco vengono accumulate le sostanze alimentari; di queste, solo una piccola parte passa nel ventriglio e viene digerita e assimilata dall'individuo.

Il resto del cibo contenuto nell'ingluvie viene rigurgitato e dato come cibo agli altri componenti della società. Fra gli organi di senso, il più sviluppato è l'olfatto che ha la sua sede nelle antenne e serve alle formiche per percepire le sensazioni più comuni e utili alla vita. Gli occhi non danno sensazioni molto precise. Alla base delle mandibole sboccano i condotti di particolari ghiandole poste nel capo e secernenti una sostanza che, mescolata a legno triturato, forma il cartone utilizzato da alcune specie per costruire il nido. Nell'ultima porzione dell'addome, sboccano le ghiandole del veleno contenente acido formico e altre sostanze tossiche o irritanti, oppure, in altre specie, speciali ghiandole anali secernenti una sostanza odorifera contenente acido butirrico, "iridomirmecina" e altre particolari sostanze odorose e ripugnanti che sono schizzate lontano per difesa o offesa.

In alcune specie sul peduncolo e all'inizio dell'addome, sono posti gli organi stridulanti che, per sfregamento, emettono deboli suoni.

La riproduzione

Volo nuziale[

In una colonia consolidata da tempo la regina depone annualmente delle uova che genereranno delle formiche alate, sia maschi che femmine, che sciameranno e formeranno nuovi formicai, i maschi dopo l'accoppiamento moriranno, mentre le femmine perderanno le ali e deporranno le uova per la formazione della nuova colonia per tutta la vita.

Determinazione del sesso

Presso le formiche, l'apparato riproduttore è sviluppato in tutti gli individui, anche se, nelle operaie, è atrofizzato e non consente la riproduzione sessuata. Le formiche, come gli altri imenotteri eusociali sono caratterizzate da un particolare meccanismo di determinazione del sesso, detto aplodiploidia. Le femmine si sviluppano a partire da uova fecondate, dette anfigoniche, mentre i maschi nascono da uova non fecondate, che prendono il nome di partenogeniche. Per regolare la fecondazione delle uova, la regina sfrutta una sacca particolare posta nella parte posteriore dell'addome, detta spermateca.

Ciclo vitale

Le uova delle formiche sono prive di involucri protettivi. Le larve sono triangolari, spesso prive di arti e incapaci di compiere movimenti complessi, ma possono contrarsi se minacciate. Le operaie nutrono le larve rigurgitando nella loro bocca piccole gocce di cibo per mezzo della trofallassi, oppure offrendo loro uova trofiche. In alcune specie le larve, munite di mandibole, sono in grado di frantumare da sole la membrana delle uova, mentre in altre sono le stesse operaie che rompono le uova trofiche e le offrono direttamente alle larve. Dal corpo e, in certe specie, da speciali papille attorno alla bocca delle larve, trasudano liquidi particolari e sostanze grasse di cui le operaie vanno ghiotte e di cui si nutrono avidamente. La larva delle formiche secerne un po' di seta con la quale, quando è matura, si tesse un bozzolo in cui trascorre lo stadio di pupa. Questo bozzolo, per svilupparsi, deve essere generalmente sotterrato dalle operaie. Le uova, le larve e le ninfe sono assistite con gran cura dalle operaie, che le trasportano nelle parti più confortevoli del formicaio a seconda delle necessità del loro sviluppo. La cura della prole costituisce la maggior parte del lavoro che si svolge nel formicaio. Le regine non lavorano e vivono da quindici a venti anni. Le operaie vivono da cinque a dieci anni; i maschi, invece, muoiono dopo essersi accoppiati. Le formiche vivono in società che possono essere formate da poche decine oppure molte centinaia di migliaia di unità, fino a qualche milione, ma solo in casi eccezionali, cioè in un territorio disabitato da animali di grandi dimensioni e con una folta vegetazione.

La riproduzione delle operaie

Le operaie presentano organi riproduttori atrofizzati, ma hanno la possibilità di deporre uova partenogeniche, dette "trofiche". Le uova delle operaie vengono generalmente offerte alle larve come cibo. In alcune specie (Oecophylla longinoda) le operaie in casi estremi escono dal nido e formano nuove colonie deponendo le uova trofiche, che si sviluppano per partenogenesi telitoca in femmine. In altre specie (Paraponera clavata), le società sono formate esclusivamente da operaie, che si riproducono per partenogenesi telitoca. In molte specie di formiche ponerine, quali per esempio Harpegnathos venator, le operaie, che in questo caso prendono il nome di gamergati, possono riprodursi anche anfigonicamente.

Organizzazione sociale e comportamento

Le formiche sono, insieme alle api, i più noti fra gli insetti sociali. La loro organizzazione è ben nota e molto efficiente. La struttura delle colonie e la loro organizzazione sociale può variare da specie a specie.

Comunicazione

Formiche del genere Oecophylla mentre collaborano nello smembramento di una formica rossa

Le formiche comunicano tra loro usando i feromoni. Questi segnali chimici sono più sviluppati nelle formiche che in altri gruppi dell'ordine dei Hymenoptera. Come altri insetti, le formiche percepiscono gli odori con le antenne, sottili e mobili. Le antenne forniscono informazioni sulla direzione e sull'intensità dei profumi. Poiché vivono per lo più sulla superficie terrestre, usano la superficie del suolo per lasciare tracce di feromone che possono essere seguite da altre formiche. Nelle specie che vanno in cerca di cibo in gruppi, il membro che trova del cibo segna un percorso sulla via del ritorno alla colonia che viene seguito da altre formiche che, una volta raggiunto il cibo, fanno ritorno alla colonia in gruppo seguendo lo stesso percorso e contrassegnandolo con ulteriori segnali chimici. Quando la fonte di cibo si è esaurita, smettono di contrassegnare il percorso e l'odore si dissipa lentamente. Questo comportamento consente alle formiche di sopravvivere anche in presenza di notevoli cambiamenti nel loro ambiente o di ostacoli all'interno del percorso. Per esempio, quando un percorso stabilito per una fonte di cibo è bloccato da un ostacolo, una delle formiche lo abbandona per esplorare nuove rotte. Se una formica ha successo, lascia una traccia nuova che segna il percorso più breve anche per il ritorno. I migliori percorsi sono seguiti da più formiche; questo metodo in maniera graduale fa sì che i gruppi di formiche alla ricerca di cibo trovino sempre la strada migliore.

Le formiche utilizzano i feromoni anche in altre diverse situazioni. Una formica ferita può emettere un allarme tramite i feromoni alle formiche nelle vicinanze facendole allontanare dal luogo in cui è stata attaccata. Altre specie di formiche utilizzano una sorta di "feromoni di propaganda" per confondere le formiche nemiche e farle combattere tra di loro. I feromoni sono prodotti da una vasta gamma di strutture anatomiche, comprese le ghiandole di Dufour, le ghiandole velenifere e le ghiandole poste nella parte posteriore, quelle del pigidio, del retto, dello sterno e delle tibie posteriori.

I feromoni sono anche mescolati al cibo e scambiati tra le formiche tramite il sistema della trofallassi, che implica un trasferimento di informazioni all'interno della colonia In questo modo le altre formiche possono rilevare a quale gruppo di lavoro (ad esempio, quello della ricerca di cibo o quello della manutenzione della colonia) appartengono gli altri membri. Nella specie di formiche che prevedono l'esistenza di una formica regina, le formiche operaie cominciano ad allevare nuove regine quando la regina dominante smette di produrre un feromone specifico.

Alcune formiche producono suoni tramite la stridulazione, utilizzando i segmenti dell'addome e le mandibole. I suoni possono essere utilizzati per comunicare con i membri della colonia o con membri di altre specie.

Difesa

Una formica del genere Plectroctena ne attacca un'altra dello stesso genere per difendere il territorio.

Le formiche si difendono e attaccano tramite morsi e, in molte specie, tramite punture che possono iniettare o spruzzare sostanze chimiche come l'acido formico. Le formiche del genere Paraponera, localizzate nell'America Centrale e Meridionale, sono considerate tra le specie che dispongono dei pungiglioni più dolorosi anche se le loro punture non sono mortali per l'uomo. A questo pungiglione è stata data la valutazione più alta nell'indice di dolore Schmidt che rileva le varie intensità di dolore causato da punture di vari insetti dell'ordine Hymenoptera. Il pungiglione della specie Myrmecia pilosula può essere fatale per l'uomo ed è stato sviluppato un siero antiveleno. Le formiche del genere Solenopsis, invece, dispongono di una sacca contenente una pozione di alcaloidi di piperidina. Le loro punture sono dolorose e possono essere pericolose per le persone ipersensibili alla sostanza.


Una formica tessitrice (Oecophylla) nella posizione di combattimento con le mandibole spalancate.

Le formiche del genere Odontomachus sono dotate di mandibole dette "a tagliola" (in inglese, trap jaw) che attaccano più velocemente di qualsiasi altro arto o appendice del regno animale.Uno studio delle Odontomachus bauri ha rilevato velocità di picco tra i 126 e 230 chilometri all'ora, con lo scatto di chiusura delle mandibole che dura 130 microsecondi in media. Si è rilevato inoltre che usano le mascelle come una catapulta per espellere gli intrusi o lanciarsi all'indietro per sfuggire a una minaccia.Prima del colpo, la formica apre le sue mandibole al massimo della larghezza e si blocca in questa posizione grazie un meccanismo interno. L'energia è immagazzinata in una spessa fascia muscolare e rilasciata in maniera esplosiva quando viene innescata dalla stimolazione sensoriale dei peli sulla parte interna delle mandibole. La "mandibole trappola" sono state rilevate nei seguenti generi: AnochetusOrectognathus e Strumigenys oltre ai membri della specie Daceton armigerum. Le mandibole vengono anche utilizzate per altri compiti. Una specie di formica malese del genere Camponotus ha sviluppato ghiandole mandibolari che si estendono fino all'addome. Quando le formiche operaie di questo genere vengono disturbate, provocano la rottura della membrana dell'addome emettendo uno scoppio di secrezioni contenenti acetofenoni e altre sostanze chimiche che immobilizzano gli aggressori. Ciò provoca anche la morte della formica. Altri tipi di difese suicide sono stati rilevati in un genere di formica brasiliana, Forelius pusillus, in cui un piccolo gruppo di formiche, ogni sera, lascia l'interno della colonia sigillando l'ingresso dall'esterno ed andando incontro ad una morte sicura.

Formiche costruiscono un tumulo sopra l'entrata della colonia per prevenire l'entrata della pioggia.

Oltre alla difesa contro i predatori, le formiche hanno necessità di proteggere le loro colonie dagli agenti patogeni. Alcune formiche operaie mantengono l'igiene della colonia e svolgono tutte le attività inerenti tra cui la necroforesi, la rimozione dalla colonia dei membri morti. L'acido oleico è stato identificato come il composto rilasciato dalle formiche morte che innesca il comportamento necroforico nelle formiche della specie Atta mexicana mentre le formiche operaie del genere Linepithema humile reagiscono al mancato rilascio di sostanze chimiche presenti sulla cuticola dei membri ancora in vita.

I formicai possono essere protetti da minacce come le inondazioni e il surriscaldamento con elaborate architetture. Le operaie della specie Cataulacus muticus, una specie che vive nelle cavità degli alberi, combatte eventuali inondazioni all'interno del nido bevendo l'acqua ed espellendola all'esterno. Le formiche del genere Camponotus anderseni, che nidificano nelle cavità del legno nella mangrovia, combattono le immersioni in acqua passando alla respirazione anaerobica.

Apprendimento

Molti animali possono imparare i comportamenti per imitazione ma le formiche sono l'unico gruppo, ad eccezione dei mammiferi, in cui è stato rilevato un tipo di apprendimento interattivo per quanto riguarda la raccolta di cibo. Un raccoglitore esperto del genere Temnothorax albipennis può condurre altri membri della colonia alla scoperta di nuovo cibo tramite una modalità denominata "tandem running": la formica meno esperta segue un "tutor" ed ottiene informazioni sul percorso e sul cibo da raccogliere. In questo processo il leader si mostra molto sensibile ai progressi dell'apprendista rallentando quando questi resta indietro.

Altri esperimenti hanno mostrato che alcuni membri della specie Cerapachys biroi possono essere collocati in ruoli diversi all'interno della colonia in base alla loro esperienza precedente. Una intera generazione di membri addetti alla caccia e alla raccolta del cibo viene divisa in due gruppi. A uno dei gruppi viene sempre permesso di trovare del cibo mentre si fa in modo che l'altro subisca sempre degli insuccessi. In questo modo il primo gruppo continua nella ricerca di cibo, intensificando anche gli sforzi, mentre l'altro si specializza in un altro ruolo, la cura della covata.

Formica

Nidi di foglie di formiche tessitriciFilippine

Molti generi di formiche costruiscono formicai complessi mentre altri sono nomadi e non costruiscono strutture permanenti. Le formiche possono costruire formicai sotterranei o su alberi (questi ultimi sono molto rari). Queste colonie possono essere trovate nel terreno, sotto le pietre o ceppi, o dentro i tronchi o all'esterno di essi. I materiali utilizzati per la costruzione comprendono terreno e materie vegetali. Le formiche selezionano con attenzione i materiali dei siti di nidificazione; le Temnothorax albipennis evitano posti in cui ci sono formiche morte, in quanto queste possono indicare la presenza di parassiti o malattie per loro fatali. Tutti i gruppi sono pronti ad abbandonare le colonie al primo segno di minaccia.

Le formiche guerriere del Sud America e le formiche scacciatrici africane non costruiscono formicai permanenti, ma invece si alternano tra nomadismo e fasi in cui le operaie formano una tana temporanea (bivacco) con il proprio corpo, tenendosi l'un l'altra insieme.

Le operaie del genere Oecophylla costruiscono i nidi sugli alberi attaccando insieme le foglie prima ammucchiandole insieme con il lavoro di file di operaie e poi inducendo le larve alla produzione di seta. Forme analoghe di costruzione si vedono in alcune specie di Polyrhachis.

Il formicaio artificiale

Un formicaio artificiale

Attorno alla vita delle formiche, soprattutto di quelle viventi nei climi temperati, si sanno molte cose; tuttavia, moltissime restano ancora da scoprire, in particolar modo per quello che riguarda le formiche dei climi tropicali. Per studiare i comportamenti di questi insetti, non basta osservare ciò che si vede in natura; è necessario ricorrere all'allevamento in laboratorio, in nidi artificiali, con pareti di vetro, che consentano di vedere come si svolge la vita all'interno del formicaio. Un formicaio artificiale è diviso in diversi ambienti o camere e deve essere mantenuto in condizioni di temperatura, luce, umidità simili a quelle naturali.  Al suo esterno le formiche si muovono alla ricerca dell'alimento e depositano i materiali di rifiuto; inoltre, deve essere isolato, per esempio con un opportuno fossatello ripieno d'acqua, per impedire alle formiche di fuggire. Mediante questi formicai artificiali, gli entomologi hanno potuto scoprire molti aspetti della vita segreta delle formiche e conoscere i rapporti intercorrenti fra i vari membri della società e fra questi e gli animali, amici o nemici, che popolano il mondo esterno.

Raccolta del cibo

Myrmecocystus impegnate nella raccolta del cibo.

La maggior parte delle formiche sono predatrici generaliste, saprofaghe e/o erbivore ma alcune hanno sviluppato metodi speciali per l'approvvigionamento del cibo. Le formiche tagliafoglie (Atta e Acromyrmex) si nutrono esclusivamente di un fungo che cresce solo nelle loro colonie. Raccolgono di continuo foglie che portano alla colonia, tagliano in pezzi sottili e pongono in speciali aree in cui crescono poi i funghi. Le operaie sono specializzate in compiti in base alle loro dimensioni. Le formiche più grandi sono impiegate nel taglio dello stelo, quelle di medie dimensioni masticano le foglie mentre quelle più piccole si prendono cura dei funghi. Queste formiche sono molto sensibili alle varie reazioni del fungo a materiali vegetali diversi e sembra che possano addirittura rilevare segnali chimici. Se un particolare tipo di foglia è tossico per il fungo non sarà più raccolto. Inoltre, batteri speciali sulla superficie esterna del loro corpo producono speciali antibiotici che uccidono i batteri che possono danneggiare i funghi.

La raccolta del cibo può condurre le formiche anche fino a 200 metri di distanza dalla colonia; di solito trovano la via del ritorno quasi sempre grazie alle tracce olfattive. Alcune specie di formiche sono impegnate in tale attività anche di notte. Questi tipi di formiche vivono in zone calde e aride del mondo e la raccolta di cibo diurna può rivelarsi fatale causa essiccazione, per cui le uscite notturne o la capacità di trovare il percorso più breve riduce tale rischio. Le formiche del deserto (Cataglyphis fortis) utilizzano punti di riferimento visivi in combinazione con altri metodi per orientarsi. In assenza di punti di riferimento visivi, la formica del deserto del Sahara si orienta tenendo traccia delle direzioni tramite un sistema di contapassi interno, integrando queste informazioni insieme ad altre di tipo visivo per trovare il percorso più breve per il ritorno alla colonia.


L'occhio di una formica visto con il SEM del MUSE

Alcune specie di formiche sono in grado di utilizzare il campo magnetico della Terra. Gli occhi hanno sviluppato cellule specializzate che rilevano la luce polarizzata dal Sole, che viene utilizzato per determinare la direzione.Questi rivelatori sono sensibili alla polarizzazione nella regione ultravioletta dello spettro visibile. In altre specie di formiche, un gruppo di raccoglitori può perdere la traccia olfattiva e separarsi dalla colonna principale: in questi casi formano una colonna circolare continuamente in marcia che può portarle alla morte per sfinimento.

Locomozione

Le formiche operaie non hanno le ali e le femmine riproduttive perdono le ali dopo il volo di accoppiamento al fine di iniziare la loro colonie. Pertanto, a differenza dei loro antenati, le vespe, la maggior parte delle formiche viaggia a piedi. Alcune specie sono in grado di saltare. Per esempio, le formiche della specie Harpegnathos saltator sono in grado di saltare sincronizzando l'azione delle zampe centrali e posteriori.

Ci sono altre specie di formiche semi-volanti, dotate di piccole ali, come quelle della specie Cephalotes atratus, che sono in grado di controllare o rallentare la direzione della discesa durante un salto o una caduta.

Alcune specie di formiche inoltre sono particolarmente altruiste per il bene della comunità: durante gli spostamenti e le ricerche di cibo, infatti, alcuni esemplari riempiono le voragini che incontrano durante il tragitto con il loro corpo, facendo passare sopra di loro le altre. Questa "riparazione istantanea" del percorso permette loro di procurare più cibo in minor tempo. Alcune specie formano anche zattere galleggianti per sopravvivere alle inondazioni. La formazione di queste zattere ha reso anche possibile ad alcune specie di formiche la colonizzazione di isole.[48] Le Polyrhachis sokolova, una specie di formiche che si trova in Australia nelle paludi di mangrovia, possono nuotare e vivere in colonie sott'acqua. Poiché non dispongono di branchie, respirano in sacche di aria intrappolate nei formicai.

Cooperazione e competizione

Le formiche onnivore della specie Iridomyrmex purpureus che si nutrono di una cicala. Le formiche sono animali sociali che collaborano alla caccia e alla ricerca del cibo.


Una formica saltatrice operaia Harpegnathos saltator, impegnata in una battaglia con la regina di una colonia rivale.

Non tutte le formiche hanno lo stesso tipo di società. Le formiche bulldog australiane sono tra le specie più grandi e aggressive. Come quasi tutte le formiche sono eusociali ma il loro comportamento sociale è poco sviluppato rispetto ad altre specie. Ogni individuo caccia da solo, usando i suoi grandi occhi invece delle capacità chimico-olfattive per scovare le prede. Alcune specie (come la Tetramorium caespitum) attaccano colonie di formiche confinanti. Altre sono meno espansioniste ma altrettanto aggressive: invadono colonie per rubare le uova o le larve, di cui si nutrono oppure riutilizzano le operaie come schiave. Alcune specie di queste formiche, come quelle amazzoniche, sono incapaci di procacciarsi il cibo da sole e hanno bisogno di operaie precedentemente catturate per sopravvivere.

Le formiche identificano membri della stessa famiglia o colonia attraverso il loro odore, che proviene da secrezioni che impregnano i loro esoscheletri. Se una formica viene separata dalla sua colonia originale, finirà per perderne l'odore caratteristico. Ogni formica che entra in una colonia, senza l'odore che le corrisponde, finirà per essere attaccata.

Alcune specie di formiche parassite si introducono nelle colonie di altre specie e si stabiliscono all'interno di esse come parassiti sociali; le specie come Strumigenys xenos sono interamente parassite e non hanno operaie, ma fanno affidamento sul cibo raccolto dagli ospitanti della specie Strumigenys perplexa. Questa forma di parassitismo è stato rilevato in molti altri generi di formiche e la formica parassita è di solito una specie che è strettamente legata a quella ospitante. Una varietà di metodi sono impiegati per entrare nella colonia delle formiche ospitanti. Una regina parassita può entrare nella colonia ospite prima che la prima nidiata si sia schiusa, stabilendosi prima dello sviluppo dell'odore caratteristico della colonia stessa. Altre specie usano i feromoni per confondere le formiche ospitanti o per ingannarle costringendole a portare la regina parassita nella colonia. Altre si aprono semplicemente la strada.

Un conflitto tra i sessi (coevoluzione antagonista) è stato rilevato in alcune specie di formiche in cui i membri della colonia sembrano apparentemente in competizione tra loro per produrre la prole. La forma più estrema comporta la produzione di discendenza clonale. Un conflitto sessuale estremo è stato rilevato nella specie Wasmannia auropunctata in cui le regine producono figlie diploidi per partenogenesi telitoca mentre i maschi producono cloni attraverso un processo in cui un uovo diploide perde il suo contributo materno nella produzione di maschi aploidi che sono in tutto cloni del padre.

Determinazione della casta

Presso le formiche si riscontrano varie forme di determinazione della casta. Nella stragrande maggioranza delle specie, le operaie si sviluppano a partire da uova anfigoniche su cui la regina secerne un particolare feromone, che inibisce lo sviluppo degli organi riproduttori. In alcune specie del genere Hypoponera, invece, si ha una determinazione della casta basata sull'alimentazione: le larve che vengono alimentate con maggiori quantità di cibo divengono regine, mentre quelle alimentate scarsamente divengono operaie. La neotenina svolge un ruolo di centrale importanza, presso molte specie di formiche, nella determinazione della casta operaia: un maggior livello di neotenina consente lo sviluppo di operaie sempre più grandi.

Rapporti con altri organismargomento in dettaglio: Piante mirmecofileMirmecofilia e Mirmecomorfismo.

Una formica raccoglie melata da un afide.

Il ragno Myrmarachne plataleoides imita formiche tessitrici per evitare i predatori.

Una relazione simbiotica tra una formica e un dente di leone. Il dente di leone fornisce nettare alle formiche mentre queste ne permettono l'impollinazione.

Le formiche scambiano rapporti simbiotici con una serie di specie, incluse specie di formiche diverse tra loro, altri insetti, piante e funghi. Sono predate da molti animali e anche da alcuni funghi. Alcune specie di artropodi trascorrono parte della loro vita all'interno di nidi di formiche, o predano le formiche, le loro larve e uova, consumando le scorte alimentari delle colonie. Questi inquilini possono avere una stretta somiglianza con le formiche. La natura di questo tipo di mimetismo (mirmecomorfismo) varia, con alcuni casi di mimetismo batesiano, in cui il processo di mimetismo riduce il rischio di predazione. Altri mostrano un mimetismo di tipo wasmaniano (termine derivante dal nome dell'entomologo Erich Wasmann), una forma di mimetismo visto solo negli inquilini.

Afidi ed altri insetti dell'ordine dei Rincoti secernono un liquido dolce chiamato melata quando si nutrono di linfa vegetale. Gli zuccheri nella melata sono una notevole fonte di energia che molte specie di formiche raccolgono. In alcuni casi gli afidi secernono la melata in risposta alle formiche quando queste toccano le loro antenne. Le formiche a loro volta, tengono lontano i predatori e spostano gli afidi in un luogo più sicuro. Quando le colonie si spostano in una nuova area portano gli afidi con loro per garantirsi una fornitura continua di melata. Le formiche allevano anche cocciniglie per raccogliere la loro melati o bruchi mirmecofili della famiglia dei Lycaenidae. I bruchi posseggono una ghiandola che secerne melata quando le formiche li massaggiano. Alcuni bruchi producono vibrazioni e suoni che vengono percepiti dalle formiche] Altri bruchi si sono evoluti: questi bruchi mirmecofaghi secernono un feromone che fa credere alle formiche di essere delle larve appartenenti alla loro colonia. Una volta portati poi all'interno del formicaio si nutrono essi stessi delle larve di formiche che vi trovano.

Le formiche della tribù Attini, incluse le formiche tagliatrici di foglie, coltivano alcune specie di funghi dei generi Leucoagaricus o Leucocoprinus della famiglia Agaricaceae. In questo mutualismo fungo-formica, entrambe le specie dipendono l'uno dall'altro per la sopravvivenza. La formica Allomerus decemarticulatus si è evoluta in una modalità a tre insieme alla pianta ospitante Hirtella physophora (Chrysobalanaceae) e a un tipo di fungo appiccicoso che viene utilizzato per intrappolare gli insetti prede.

Le formiche della specie Myrmelachista schumanni sono responsabili, nella foresta amazzonica, dei giardini del diavolo uccidendo le piante a loro non gradite e favorendo la crescita di alberi del genere Duroia hirsuta processo che crea una singolare zona nella foresta pluviale in cui sono presenti solo tali alberi. Questo processo di modifica della vegetazione permette loro di avere più siti possibili, all'interno del tronco di tale tipo di alberi, dove costruire formicai più adatti. Alcuni alberi secernono un nettare speciale utilizzato come fonte di cibo dalle formiche che a loro volta proteggono la pianta dagli insetti erbivori. Alcune specie di alberi come l'Acacia cornigera, in America centrale, hanno le cavità utilizzate da una particolare specie di formiche (Pseudomyrmex ferrugineus) per la creazione di colonie; in cambio esse difendono l'albero dagli insetti fitofagi e dalle piante epifite. Altri studi suggeriscono anche che le piante ottengano azoto dalle formiche. In cambio, le formiche si riforniscono di proteine e di lipidi dalla pianta. Un altro esempio di questo tipo di ectosimbiosi viene dagli alberi di Macaranga, che hanno fusti adatti ad ospitare colonie di formiche del genere Crematogaster. Infine, molte specie di alberi producono semi che sono poi dispersi dalle formiche. La dispersione dei semi da parte delle formiche, o mirmecocoria, è molto diffusa e nuove stime suggeriscono che circa il 9% di tutte le specie di piante possono servirsi di formiche per la disseminazione. Alcune piante in ambienti particolari sono fortemente dipendenti dalle formiche per la loro sopravvivenza e per la loro diffusione, dato che i semi vengono trasportati in sicurezza sotto il terreno. Molti semi dispersi dalle formiche hanno particolari strutture esterne, gli oleosomi, che sono ricercati dalle formiche perché fonte di cibo. Una convergenza evolutiva, forse una forma di mimetismo, è stato rilevato nelle uova dei fasmidi: hanno una struttura simile agli oleosomi e per questo motivo vengono trasportati dalle formiche nel formicaio dove, una volta giunti, possono cominciare a schiudersi.

Iridomyrmex purpureus allevano una cicalina.

I ragni talvolta si cibano di formiche.

La maggior parte delle formiche è predatrice ed ottiene cibo da altri insetti sociali, comprese altre formiche. Alcune specie si specializzano nella predazione delle termiti (Megaponera e Termitopone) mentre alcune specie della famiglia Dorylinae predano altre formiche. Alcuni termiti, tra cui le Nasutitermes corniger, formano associazioni con alcune specie di formiche per tenere lontano altre specie di formiche predatori. La vespa tropicale Mischocyttarus drewseni ricopre parte del suo nido con un repellente chimico anti-formica. Le api senza pungiglione (Trigona e Melipona) utilizzano difese chimiche contro le formiche.

Le mosche del genere Bengalia (Calliphoridae) cacciano le formiche e sono cleptoparassiti: strappano via le prede o il cibo dalle mandibole delle formiche.[74] Le femmine di foridi malesi (Vestigipoda myrmolarvoidea) vivono all'interno delle colonie delle Aenictus e vengono accudite dalle stesse formiche

Funghi dei generi Cordyceps e Ophiocordyceps infettano le formiche quando queste si arrampicano su di esso e affondano le mandibole nei tessuti vegetali. Il fungo uccide le formiche, cresce sopra i loro resti e produce un carpoforo. Sembra inoltre che il fungo alteri il comportamento delle formiche per contribuire a disperdere le sue spore in un microhabitat che meglio si adatta al fungo. Anche i parassiti strepsitteri manipolano la loro formica ospite costringendola ad arrampicarsi sugli steli d'erba, per aiutare il parassita a trovare compagni. Un nematode (Myrmeconema neotropicum) che infetta le formiche del genere Cephalotes installandosi nel loro addome fa sì che il colore nero di questi diventi rosso. Il parassita altera anche il comportamento della formica, costringendole ad alzare l'addome rendendolo più visibile. Il colore rosso inganna gli uccelli che le scambiano per frutti maturi e le mangiano. Gli escrementi degli uccelli vengono poi raccolti da altre formiche e dati come cibo ai piccoli, il che porta alla ulteriore diffusione del nematode.

Le rane sudamericane della famiglia Dendrobatidae si nutrono soprattutto di formiche, e le tossine presenti nel loro strato cutaneo possono essere originate proprio dalle formiche ingerite

Il rapporto tra molte specie di uccelli e altre di formiche non è ancora ben compreso ed è ancora in fase di studio. Un particolare comportamento da parte degli uccelli viene denominato "anting": alcuni di essi riposano all'interno dei formicai o raccolgono le formiche innestandole nelle loro ali e all'interno delle piume in modo che possano rimuovere gli ectoparassiti.

Infine formichieripangolini e diverse specie di marsupiali in Australia si sono adattati in maniera particolare ad una dieta fatta quasi esclusivamente di formiche. Questi animali hanno lingue lunghe e appiccicose per catturare le formiche e forti artigli per rompere i formicai. Anche gli orsi bruni si nutrono di formiche: una percentuale del 12%, del 16% e del 4% del loro volume fecale in primavera, estate e autunno, rispettivamente, si compone di formiche.

Caratteristiche di alcune specie

Fra le tante specie alcune presentano caratteristiche curiose e interessanti. Per esempio, le formiche del genere Messor, specializzate nella raccolta e immagazzinamento di semi, e le formiche del genere Atta, le famigerate tagliafoglie, diffuse in Sud America, coltivatrici di un fungo particolare, di cui si nutrono. La colonia di Atta è rigidamente divisa in caste, ognuna specializzata in un compito preciso: dalle operaie minori, di pochi millimetri, che si occupano della coltivazione del fungo, alle operaie maggiori, che si dedicano al trasporto e taglio delle foglie, ai soldati incaricati della difesa del nido, con la testa larga anche 6 mm.
Un nido di Atta può contenere milioni di individui e in una sola notte è in grado di spogliare un grande albero di tutte le sue foglie. Il fogliame, sminuzzato e masticato dalle operaie minori, serve da lettiera per la coltivazione del micelio fungino, che costituirà l'alimento base della colonia. L'impatto ambientale di tali colonie fa di Atta sexdens e Atta cephalotes gli insetti più dannosi dell'America meridionale, capaci di distruggere raccolti per miliardi di dollari. Normalmente le formiche sono considerate insetti tranquilli, ma ve ne sono anche di molto aggressive. Per esempio, le formiche del genere Eciton, o formiche legionarie, che vivono in Amazzonia, le quali si riuniscono in enormi eserciti che marciano attraverso la foresta catturando ogni genere di insetti e razziando ogni cosa sul loro cammino. Le formiche più grandi e pericolose sono probabilmente quelle cosiddette Bulldog del genere Myrmecia, che vivono in Australia.


Formiche che "allevano" afidi

Aggressivi ed enormi, questi insetti possono raggiungere anche i 2,5 centimetri di lunghezza. Ve ne sono anche di velenose, alcune raccoglitrici di funghi. Infine alcune specie di formiche ospitano e proteggono delle specie di afidi anziché predarli in cambio di una loro secrezione zuccherina, la melata.

Questo è un esempio molto particolare di simbiosi tra due insetti, che curiosamente ricorda molto il rapporto tra l'uomo e gli animali domestici.

In Europa la specie più diffusa è probabilmente la formica rossa, che è considerata specie protetta in molte zone in quanto con la sua azione rimuove milioni di carcasse di insetti e rende fertile il terreno.

Di tutte le specie solo una trentina sono diffuse in tutto il mondo. Circa 4500 specie vivono nelle regioni tropicali ed equatoriali; ottocentocinquanta specie popolano il bacino del Mediterraneo e altre ottocento specie sono proprie delle regioni temperate e fredde.

Le formiche più grosse vivono nei paesi caldi e sono predatrici e carnivore; appartengono alla sottofamiglia delle Ponerine. Fra le Mirmicine si annovera la maggior parte delle specie presenti in Europa. Alle Dolicoderine appartengono la Linepithema humile o formica argentina e varie specie di Tapinoma frequenti nei nostri giardini. Alla sottofamiglia delle Formicine, appartengono le specie più evolute; sono diffuse anche nei paesi temperati e freddi. Si annoverano i generi CamponotusMyrmecocystus e Formica.

Formiche nomad

Le colonie di alcune specie di formiche non realizzano un nido permanente e si spostano continuamente in cerca di cibo, alternando fasi di migrazione con fasi sedentarie. Durante queste ultime, la colonia costruisce un nido temporaneo, in cui la regina depone le uova. Una volta che le uova deposte si sono sviluppate in esemplari adulti, la colonia abbandona il nido e rientra in una fase di migrazione, durante la quale si sposta continuamente. Nella migrazione, la regina viene costantemente protetta dalle operaie, mentre queste ultime si dispongono in colonne rettilinee e predano i piccoli animali che trovano sul percorso. Le colonne si formano grazie alle tracce di feromoni rilasciate dalle operaie in prima fila durante il percorso.

Fra le specie nomadi, si ricordano in particolare i generi DorylusAenictusLabidus ed Eciton, note per la loro aggressività e le loro abitudini caratteristiche. Poi, specie nomadi secondarie sono alcune di quelle appartenenti ai generi:

Formiche otr

Lo stesso argomento in dettaglio: Formiche mellifere.

Le operaie di molte specie della sottofamiglia Formicinae hanno la possibilità di riempire l'addome con sostanze liquide, che poi distribuiscono alle compagne per trofallassi. In particolare, presso le colonie del genere Myrmecocystus, alcune operaie specializzate si riempiono l'addome di sostanze liquide e si appendono al soffitto del nido, distribuendo via via le sostanze contenute all'interno del loro addome alle compagne. Fra le formiche che presentano un addome estensibile, ci sono anche le specie del genere Lasius.

Formiche schiaviste

Il fenomeno della dulosi, o parassitismo sociale, è comune nelle specie del genere Polyergus e in alcune di quelle appartenenti ai generi LasiusAphaenogaster e Formica. Nelle colonie di queste specie, le operaie usano invadere i nidi di colonie limitrofe, spesso appartenenti a specie particolari, per rubare le larve e trasportarle al proprio nido. Queste poi vengono allevate ed entrano a far parte della colonia come operaie schiavizzate, dando così vita a una società eterogenea. Una volta acquistato l'odore della colonia schiavista, le operaie schiavizzate le rimangono "fedeli".
Fra le specie di formiche che compiono la dulosi, si distinguono schiaviste obbligate (che non possono nutrirsi da sole e devono ricorrere alle operaie di altre specie), e schiaviste facoltative (che compiono il parassitismo sociale solamente per incrementare la popolazione delle operaie nella propria colonia). Un esempio - l'unico - di formiche schiaviste obbligate sono le specie appartenenti al genere Polyergus.
Le femmine alate di una specie schiavista obbligata formano nuove colonie introducendosi nei nidi di altre specie e uccidendo la regina. Poi, le femmine prendono il suo posto e assumono il suo odore cospargendosi con le sue membra, in modo da non essere riconosciute dalle operaie come intruse. Esse cominciano così a deporre le uova, e a sostituire la popolazione operaia della vecchia colonia con gli esemplari della propria specie. Questo metodo, definito comunemente "usurpazione", viene utilizzato anche da alcune specie dei generi Myrmecia e Bothriomyrmex.

Formiche orticoltrici

Formica tagliafoglie della specie Atta columbica, che trasporta al nido un pezzo di foglia tagliata.

Alcune specie di formiche usano coltivare il micelio di un fungo all'interno del nido, che concimano con residui vegetali o pezzi di foglie tagliati, a scopi alimentari. Esse coltivano particolari specie di funghi Basidiomiceti, che proteggono dai parassiti e bagnano continuamente con la saliva. Le operaie non fanno sviluppare, dal micelio del fungo, corpi fruttiferi, poiché esse si nutrono solamente delle ife. Per evitare la formazione di corpi fruttiferi, le operaie legano le ife a formare delle sacche.
Le femmine alate, prima di sciamare all'esterno del nido, prelevano una parte del micelio e lo trasportano fra le mandibole durante la sciamatura. Poi, esse, una volta scavata una tana, lo depositano e cominciano a deporre le uova. Le prime operaie della nuova colonia cominciano in seguito a concimare il fungo, formando così una coltivazione. Fra le specie orticoltrici, si ricordano quelle appartenenti ai generi Atta e Acromyrmex.

Formiche lomecusomani

Molte specie appartenenti ai generi MyrmicaFormica e alcune specie del genere Lasius vengono parassitate dai coleotteri stafilinidi del genere Lomechusa. Questi coleotteri penetrano nelle colonie e offrono alle formiche operaie una sostanza dolce prodotta dai tricomi, dei peluzzi posti sulla parte inferiore delle elitre. Tale sostanza ha un effetto inebriante sulle formiche operaie, che trascurano le loro attività di difesa del formicaio e di accudimento della prole, per dedicarsi per lunghi periodi esclusivamente alla suzione della secrezione. Ciò favorisce l'inserimento del coleottero all'interno della colonia, il quale affida alle formiche la cura delle proprie larve, che a loro volta producono una analoga secrezione e perdipiù si nutrono delle larve delle formiche. Tutto ciò porta in breve tempo a un rovinoso declino dell'intera colonia di formiche. Le specie parassitate dalla Lomechusa vengono comunemente dette "formiche lomecusomani".

Formiche trappolaecie di formiche, distribuite nelle sottofamiglie Ponerinae e Myrmicinae, predano piccoli artropodi utilizzando le mandibole come trappole che scattano velocemente al passaggio della preda. Le operaie di queste specie, dette comunemente "formiche trappola", si appostano per lunghi periodi di tempo aspettando l'arrivo della preda. Quando quest'ultima tocca i peli sensoriali delle mandibole, queste scattano in poche frazioni di secondo, catturando la preda. Le specie di formiche trappola più note appartengono ai seguenti generi:

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Tarlo del legno

Coleottero

Anobium punctatum De Geer1774, (noto anche come tarlo) è un insetto che si nutre della polpa del legno. La sua disposizione xilofaga è infatti all'origine del più comune appellativo di tarlo del legno, o anche tarlo dei mobili.

Appartiene all'ordine dei coleotterisottordine Polyphaga.

Caratteristiche

A. punctatum, vista laterale e dall'alto.

Di forma cilindrica, con elitre marrone scuro. Raggiunge una lunghezza che varia tra i 3 e i 5 mm. Il pronoto è simile ad un cappuccio da frate che copre la testa dell'insetto. Le antenne sono separate alla base e caratterizzate dal fatto che gli ultimi tre articoli sono considerevolmente più lunghi e larghi dei precedenti.

Gli esemplari femmina di A. punctatum depongono le uova (tra le 20 e le 60) in vecchi fori di sfarfallamento e/o in fessurazioni del legno. Dopo 4-5 settimane le larve appena schiuse penetrano all'interno scavando gallerie dal diametro di appena 1-2 mm, ivi stanziano fino a metamorfosi completa. Le larve si nutrono di cellulosa ed amido, e depositano fibre di legno ed escrementi, ovvero il “rosume”. Solamente quando la larva raggiunge la forma adulta (primavera e autunno) fuoriesce dal legno per sfarfallare all'esterno, lasciando dei caratteristici fori, dal diametro di 2 mm circa, indicativi del suo passaggio. Il rosume è scarso e i depositi granulari sono a forma di limone. Le larve di Xestobium rufovillosum, invece presentano colore bianco e corpo molle e una forma quasi scarabeiforme e si nutrono di cellulosaemicellulosa e lignina; sostanze organiche molto complesse digeribili grazie a particolari enzimi molto potenti. L'incubazione all'interno del legno può durare anche più di 3-4 anni.

La presenza dei fori sulla superficie legnosa è indicativa quindi di uno sviluppo già terminato. All'interno del legno restano infatti soltanto le gallerie vuote, gallerie che rappresentano una grave minaccia sia per la salute di fusti vivi che per l'integrità della mobilia e di qualsiasi manufatto in legno, in quanto compromettono le funzioni vitali nei primi e la stabilità e robustezza nei secondi. Le condizioni di temperatura minima necessaria all'accrescimento del tarlo del legno è di 13-14 °C e l'umidità relativa deve essere superiore al 50%.

In generale A. punctatum predilige deporre le uova nel legno situato in ambienti domestici perché questo è di più facile digeribilità e lontano da condizioni atmosferiche sfavorevoli. Il variare della temperatura rende impossibile tracciare una cronologia assoluta della metamorfosi di A. punctatum, cosicché possono verificarsi episodi di sfarfallamento anticipati o ritardati rispetto alla norma.

Al contrario di quanto comunemente si crede, i fori lasciati da A. punctatum sono di uscita e non d'entrata: quando compaiono sulla superficie del legno i danni sono già stati arrecati.

Per bloccare un'infestazione di A. punctatum ci si orienta frequentemente all'utilizzo di appositi insetticidi, come la Permetrina. Gli insetticidi in forma liquida agiscono solo sugli insetti allo stadio adulto o allo stadio pupale che sono già migrati alla superficie del legno (di solito tra i mesi di marzo e maggio) e possono attaccare o rovinare la superficie esterna del legno. I trattamenti, oltre a raggiungere facilmente anche gli esemplari più interni indipendentemente dallo stadio larvale in cui si trovano, non rovinano il legno.

La conformazione dell'Ovopositore delle femmine permette l'ovodeposizione soltanto nelle piccole fenditure. Il materiale legnoso levigato o trattato con smalti, resine e vernici risulta inattaccabile da questa specie.

Un sistema di lotta ecologica, ovviamente per pezzi di piccole dimensioni, consiste nel riporre l'oggetto infestato in un Congelatore per alcuni giorni. La bassa temperatura infatti uccide le larve ma occorre preventivamente valutare i danni che il freddo potrebbe provocare ai manufatti. L'ultimo metodo introdotto per la lotta agli anobidi in generale, tra cui l'anobium punctatum, è il metodo anossico. Questo sistema, introdotto nell'ultimo quindicennio, ha il vantaggio di essere contemporaneamente innocuo per i materiali, ma efficace con l'insetto infestante in ogni stadio di vita: uova, larva, pupa e adulto.


Danni causati da un attacco di Anobium punctatum su un tavolo in noce

Oggi ci sono nuovi trattamenti per la disinfestazione dei tarli tramite calore, come il trattamento a microonde e termico ad aria calda. Tali trattamenti sono impiegati per eliminare in modo ecocompatibile e definitivo i tarli e altri parassiti dannosi in tutte le loro forme biologiche (uovo, larva, pupa, adulto) che attaccano mobili antichi, travi, capriate, boiserie, parquet e tutti i manufatti di arredo in legno. La disinfestazione tramite le Microonde avviene sfruttando l'energia elettromagnetica per scaldare l'oggetto. Trattandosi di applicazioni in tempi molto brevi anche un piccolo errore può danneggiare il manufatto. Inoltre la presenza di oggetti metallici può provocare bruciature. Il trattamento aerotermico porta alla temperatura desiderata di 57 °C il manufatto in maniera omogenea e non risente della presenza di metalli. È inoltre solitamente più economico.

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Cimice asiatica

Pentatomide

La cimice marmorata (detta anche cimice asiatica, Halyomorpha halys Stål1855) è un insetto della famiglia Pentatomidae (ordine rincoti), originario di CinaGiappone e Taiwan. È stato accidentalmente introdotto negli Stati Uniti con i primi esemplari osservati nel mese di settembre 1998. H. halys è considerata un insetto dannoso all'agricoltura e dal 2010-11 è diventato un fitofago stabile dei frutteti degli USA.

In Italia il primo esemplare è stato rinvenuto in provincia di Modena nel settembre 2012 e studiato dall'Università di Modena e Reggio Emilia.

Descrizione

Gli adulti sono lunghi circa 1,7 centimetri  e hanno la caratteristica forma a scudo comune anche in altre cimici. Ci sono varie tonalità di bruno sulla parte superiore e sul lato inferiore, con toni di grigio, bianco sporco, nero, rame e macchie di colore bluastro. Altri caratteri di riconoscimento di questa specie comprendono le bande luminose alternate sulle antenne e bande scure alternate sul bordo esterno dell'addome. Le zampe sono marroni con deboli chiazze bianche o strisce. Lo sbocco delle ghiandole odorifere si trova sul lato inferiore del torace, tra la prima e la seconda coppia di zampe, e sulla superficie dorsale dell'addome.

Nei luoghi di origine (Giappone, Cina, penisola coreana e Taiwan) si ha una sola generazione all'anno, mentre nelle zone più favorevoli fino a quattro. Le femmine si accoppiano più volte di seguito e l'accoppiamento dura circa 10 minuti (molto meno rispetto a specie affini). Vengono depositate tra 100 e 500 uova, con una media intorno a 250 uova. Il tempo di sviluppo degli animali adulti dipende dalla temperatura e dalla dieta (in condizioni di laboratorio dura circa 50 giorni).

Biologia

H. halys su un pomodoro

H. halys è un insetto infestante altamente polifago che può causare danni estesi alla frutticoltura (soprattutto alle Rosaceae) e all'orticoltura (soprattutto Fabaceae). In Giappone è un fitofago che attacca la soia e i fruttiferi. Negli Stati Uniti infesta, a partire dalla fine di maggio o all'inizio di giugno, una vasta gamma di fruttiferi e ortaggi tra cui pescomelofagiolinosoiaciliegiolampone e pero. Si tratta di un insetto che per nutrirsi perfora i tegumenti della pianta ospite con l'apparato boccale modificato; questa modalità di alimentazione comporta, in parte, la formazione di fossette o aree necrotiche sulla superficie esterna dei frutti, la punteggiatura della foglia, la perdita di semi, e l'eventuale trasmissione di fitopatogeni .

H. halys penetra nelle case in autunno con più frequenza rispetto ad altri membri della famiglia. L'insetto sopravvive all'inverno come adulto, riparandosi all'interno di case e altri ripari a partire dalle serate autunnali più fredde, spesso riunendosi a migliaia di individui nei siti di svernamento. Gli adulti possono vivere da diversi mesi a un anno. Una volta all'interno del riparo, vanno in stato di ibernazione e aspettano la fine dell'inverno; tuttavia il calore all'interno della casa spesso li induce a ridiventare attivi, e possono volare maldestramente intorno a lampadari o altre fonti luminose.

Controllo

Sono stati sviluppati appositi feromoni artificiali che possono essere utilizzati come esca per trappole. Poiché gli insetti introducono l'apparato boccale in profondità sotto la superficie dei frutti per nutrirsi, alcuni insetticidi sono inefficaci; inoltre, questi insetti sono altamente mobili, e una nuova popolazione può reinsediarsi rapidamente dopo che la popolazione residente è stata eliminata. Nel caso di infestazione della soia, si è visto che spruzzare solo il perimetro di un campo può essere efficace. A partire dal 2012, le popolazioni dei predatori autoctoni come le vespe e gli uccelli insettivori hanno mostrato segni di aumento numerico essendosi adattate alla nuova fonte di cibo.

Predatori In Cina il Trissolcus japonicus, un imenottero parassitoide della famiglia Scelionidae, è un antagonista naturale di H. halys. Anche in Italia si sta cercando di sperimentare l'inserimento di questo insetto all'interno dell'ecosistema

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Cimice Verde

Pentatomide

La cimice verde (Palomena prasina Linnaeus1761) è un insetto eterottero della famiglia Pentatomidae.

Specie comune e polifaga, attacca piante erbacee e arboree. È uno dei principali agenti dell'aborto traumatico in cui il guscio si forma normalmente ma il seme è atrofizzato e del cimiciato delle nocciole, tra le maggiori avversità del nocciolo.

Descrizione

Adulto


Esemplare adulto

Il colore di Palomena prasina varia dal verde (maggior parte degli individui) al marrone-rossastro. Da adulto, raggiunge in media la lunghezza di 15 mm.

Stadi giovanili


Neanide

Distribuzione e habitat

È una specie comune in gran parte dell'Europa . In Italia è presente in tutta la penisola e nelle isole maggiori .

Si rinviene su diversi tipi di piante erbaceearbusti ed alberi, con una spiccata predilezione per Corylus spp. e Quercus spp.

Biologia


Deposizione delle uova

Accoppiamento

Vista ventrale

Come gran parte delle cimici, se disturbata emette sostanze maleodoranti, secrete da ghiandole poste sul torace.

La femmina depone fino a 100 uova in piccoli ammassi dalla caratteristica forma esagonale. Dalle uova fuoriescono ninfe dall'aspetto grossolanamente somigliante a quello dell'adulto, eccezion fatta per l'assenza di ali (emimetabolia). Le ninfe passano attraverso 5 stadi pre-immaginali, nell'ultimo dei quali compare un abbozzo di ali. Esse diventano adulte a settembre, ibernandosi a novembre.

Danni causati

La cimice verde è molto dannosa per diverse specie di piante erbacee e alberi. Con le sue punture, infatti, causa la morte delle gemme fiorali e il deperimento della pianta che diventa giallastra. Il danno si manifesta sulle foglie e sui frutti ed è causato dalle punture di nutrizione di tutte le forme mobili del fitofago. Le foglie presentano necrosi localizzate e disseccamenti. Sui frutti le punture dell'insetto causano tipiche punteggiature clorotiche che successivamente si necrotizzano. I frutti attaccati dalle cimici assumono uno sgradevole sapore e non possono essere commercializzati. Indirettamente la cimice può trasmettere alle piante, attraverso le ferite lasciate dagli stiletti boccali, alcune malattie secondarie, come la batteriosi.

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Processionaria

Coleottero

La processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa (Denis & Schiffermüller1775)) è un lepidottero appartenente alla famiglia Notodontidae, diffuso in Eurasia e Nordafrica.

Si tratta di un insetto altamente distruttivo per le pinete poiché le priva di parte del fogliame, compromettendone così il ciclo vitale. Inoltre, durante lo stadio larvale tale insetto presenta una peluria che risulta particolarmente urticante per vari animali, compreso l'uomo, e i suoi effetti si manifestano dopo un giorno.

Descrizione

Larva


Gruppi di larve (o bruchi) di Thaumetopoea pityocampa in movimento nella classica fila indiana. Sono ben evidenti i peli irritanti

Da giovane si presenta come una larva da 1 cm fino a 3 cm e mezzo dotata di numerosi peli irritanti per l'uomo e per gli animali che usa come tecnica di difesa.

I gruppi di larve di processionaria si spostano quasi sempre in fila indiana formando una sorta di "processione" (da cui il nome) e si compattano quando raggiungono il loro nido bianco di seta. Il nido viene usato per rideporre le uova o viene scartato e le nuove larve saranno costrette a ricostruirlo.

Adulto

Le cosiddette "farfalle triangolari" non sono altro che processionarie adulte e, sebbene siano notturne, non entrano molto facilmente nelle case abitate.

Le dimensioni possono essere variabili, ma la misura principale delle processionarie è di 3–4 cm e la colorazione delle ali è variabile dal bianco sporco al giallo avorio chiaro, con delle striature quasi invisibili di colore più scuro. L'apertura alare è di 5 cm circa. Come molte falene, alcune di esse possono emettere, se minacciate, un liquido giallastro molto irritante, per poi volare via.

Biologia ecologia e sviluppo

La processionaria del pino attacca tutte le specie del genere Pinus ma mostra una certa preferenza per Pinus nigra e Pinus sylvestris, inoltre si può trovare occasionalmente anche sui cedri, su Picea abies e su Larix decidua. L'insetto sverna allo stadio di larva di terza e quarta età all'interno dei caratteristici nidi sericei che vengono intessuti sui rami dei pini. In primavera le larve riprendono l'alimentazione cibandosi degli aghi di pino, ma nelle stagioni più calde, quando la temperatura del nido supera i 9 °C le larve escono a cibarsi anche in inverno.

Di solito le larve sono attive solo la notte, mentre di giorno si trattengono al riparo nel nido. In primavera le larve sono molto voraci e causano forti defogliazioni.

Giunte a maturità le larve abbandonano definitivamente il nido e si dirigono lungo il tronco verso il suolo in file lunghe vari metri.


Processionarie su tronco di pino

Marciano nelle tipiche "processioni" fino a che non trovano un luogo ideale dove interrarsi fino ad una profondità di 10–15 cm. Le larve provenienti dallo stesso nido si incrisalidano tutte insieme nel terreno in bozzoli singoli fittamente accatastati l'uno accanto all'altro. Una parte delle crisalidi può rimanere in diapausa anche fino a 7 anni. In luglio-agosto compaiono gli adulti, le femmine ovidepongono sugli aghi dalle 100 alle 280 uova, in un'unica ovatura a forma di manicotto. Le larvette nascono a fine agosto-settembre e iniziano ad alimentarsi subito sugli aghi, causando solo danni modesti.

La processionaria del pino è un insetto termofilo e risulta assente nelle regioni in cui l'ammontare cumulativo delle ore di luce è inferiore a 1800 ore. Queste particolari esigenze climatiche spiegano una distribuzione piuttosto discontinua dell'insetto. Thaumetopoea pityocampa attacca di preferenza pini di giovane e di media età, specialmente quando vegetano su terreni poveri, asciutti ed esposti a sud o sud ovest.

Distribuzione e habitat

È un insetto diffuso nelle regioni temperate del bacino del Mediterraneo (Europa meridionaleMedio Oriente e Africa settentrionale), particolarmente lungo le alberature stradali e sulle piante marginali delle formazioni boscose. È considerato come uno dei principali fattori limitanti per lo sviluppo e la sopravvivenza delle pinete del Mediterraneo.

Attacca prevalentemente piante delle specie Pinus nigra e Pinus sylvestris, ma talvolta danneggia anche Pinus halepensisPinus pineaPinus mugo e Pinus pinaster; di rado attacca Pinus strobus, ed in via del tutto eccezionale può attaccare larici e cedri.

I nidi di Thaumetopoea, dove svernano le larve, sono riconoscibili anche a distanza; sono di forma piriforme e di colore bianco brillante, localizzati soprattutto sulle cime e agli apici dei rami laterali. A partire dalla fine di autunno – inizio inverno, l'osservazione dei nidi bianchi lascia pochi dubbi sulla presenza di questo lepidottero, che allo stato larvale causa danni sulle foglie (necrosi) e sui rametti, come defogliamenti.

Questo insetto è conosciuto anche perché nocivo per le specie a sangue caldo, uomo compreso; i danni provocati dalla penetrazione dei peli nella cute umana, possono essere modesti o assumere notevole gravità. Nella pelle, dove si infiggono le setole o i loro frammenti, insorge un molestissimo eritema papuloso, fortemente pruriginoso, che può scomparire dopo qualche giorno; conseguenze più gravi si presentano quando i peli, o frammenti di essi, giungono a contatto con l'occhio, la mucosa nasale, la bocca o peggio quando penetrano nelle vie respiratorie e digestive.

Metodi di lotta

In Italia dal 1998 la lotta a questo insetto è obbligatoria nelle aree ritenute a rischio infestazione (cfr. Decreto Ministeriale 17.04.1998, poi abrogato e sostituito con D.M. 30.10.2007, pubbl. in G.U. 16 febbraio 2008, n. 40.).

Questo pericoloso lepidottero può essere combattuto utilizzando diversi metodi: innanzi tutto con trattamenti insetticidi diretti sulle larve all'aperto: il nido, infatti, neutralizza l'efficacia del trattamento. Per l'eliminazione delle larve morte, occorre comunque utilizzare la massima cautela; anche se il metodo migliore consiste certamente nel bruciarle, i residui carbonizzati risultano ugualmente urticanti, perciò è da evitare il rimanere sottovento o nelle vicinanze del falò, soprattutto con parti del corpo scoperte (compresi viso e occhi). Altri metodi di lotta si possono classificare come segue:

Lotta meccanica

Quando si opera nelle vicinanze delle larve, è necessario coprire ogni parte del corpo (es. con guanti, maniche lunghe, occhiali, foulard sul viso) al fine di evitare il contatto coi peli urticanti ed in seguito lavare i vestiti utilizzati. I peli urticanti, infatti, sono molto fini e quindi possono essere facilmente trasportati dall'aria.

Una prima tecnica consiste nella distruzione delle larve, tagliando le cime dei rami contenenti i nidi. Da notare che tale metodo presenta il rischio che i peli urticanti presenti nel nido e sulle larve possano cadere sull'operatore.

Un secondo metodo consiste nell'avvolgere il fusto con del film plastico (prima della discesa delle larve, che avviene in genere dalla seconda quindicina di febbraio alla prima quindicina di marzo), su cui distribuire uniformemente della colla entomologica; quando è satura la trappola si sostituisce.

Un altro semplice metodo consiste nel bloccare la "processione" mediante l'apposizione di una trappola a forma di imbuto sulla parte bassa del tronco. La base della trappola deve essere molto aderente al tronco affinché non ci siano vie di discesa, mentre la parte alta deve essere più larga del tronco al fine di permettere l'entrata delle larve. Queste, trovando la via bloccata, si fermano per qualche tempo nella trappola e possono così essere uccise con un utensile (es. una paletta di metallo) o ancor meglio, al fine di mantenere le distanze il più possibile, spruzzando sulle larve uno specifico insetticida da comprare in un negozio per l'agricoltura. Una volta uccise, le larve possono essere seppellite al fine di evitare la diffusione dei peli urticanti. Altro modo di eliminare le larve bloccate: prelevarle, una ad una, con una pinzetta e tuffarle in un recipiente (secchiello, barattolo) in cui sia stata messa della candeggina; dopodiché, smaltire adeguatamente il prodotto.

Lotta biologica e biotecnologica

La prima tecnica prevede l'uso di prodotti a base di Bacillus thuringiensisssp. kurstaki. Questa tecnica risulta difficile da attuare o molto costosa quando gli esemplari infestati sono di grandi dimensioni. Inoltre, vista la presenza di nidi sericei a protezione delle larve, non è detto che tutte vengano raggiunte dal bacillo.

La seconda tecnica prevede, invece, l'uso di trappole sessuali (trappole a feromoni), obbligatoria in Italia (D.M. 30/10/2007). Queste trappole rappresentano il miglior metodo di contrasto al lepidottero parassita. L'efficacia è dovuta sia alla cattura di molti maschi, che non riescono più ad uscire dalla trappola, sia al disorientamento degli stessi ad opera degli ormoni sessuali femminili della trappola. Le trappole si posizionano nei mesi di giugno e luglio, periodo di sfarfallamento degli esemplari adulti, e ogni 3-4 settimane va cambiata la pastiglia del principio attivo. Ogni 3-4 giorni va controllata la trappola per vuotare il contenitore dove vengono intrappolati gli animali.

Interessante è l'impiego della Formica rufa, uno dei pochi nemici naturali di questo lepidottero.

Interventi chimici

Uso di larvicidi, come il diflubenzuron.

Utilizzo delle armi da fuoco[

È efficace, ma solo nel periodo da dicembre a gennaio, quando le larve si riuniscono nei bozzoli per sopravvivere alle basse temperature grazie all'effetto di gruppo. Non sono i pallini da caccia che le uccidono direttamente, ma, sparando, il bozzolo si lacera, il freddo penetra e l'abbassamento della temperatura uccide le larve nei mesi successivi.

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Ragno

Aracnide

ragni occupano una nicchia ecologica di rilievo in tutti gli habitat terrestri dove sono presenti forme di vita. Per questo motivo, volendo valutare appieno la biodiversità di una zona o di una nazione, non si può prescindere da una profonda analisi dei ragni ivi presenti.

Sono sostanzialmente animali predatori con due precise caratteristiche: una forte diversità di famiglie e specie e una capacità di adattarsi a tutti gli ambienti che la natura offre. Mostrano anche un forte adattamento ai numerosi cambiamenti antropici degli ultimi secoli, il che fa di loro un ottimo soggetto di studi anche in campo ecologico.

L'Italia, per la varietà di habitat che possiede lungo tutto l'arco peninsulare, è un paese candidato ad una buona biodiversità aracnologica.

Una panoramica dettagliata, anche se per il momento non esaustiva, delle specie rinvenute è riportata nella tabella sottostante che compendia i tre studi finora dedicati all'argomento in Italia:

  1. la Checklist of the species of the italian fauna, aggiornata al 2002 e consultabile online;

  2. la pubblicazione di Alessio Trotta, Introduzione ai ragni italiani (Arachnida Araneae), in Memorie della Società Entomologica italiana, vol.83, pp. 178, aggiornata al 2004 e pubblicata nel 2005.

  3. la recente pubblicazione da parte del Museo Civico di Scienze Naturali E. Caffi di Bergamo della Checklist dei ragni italiani curata dagli aracnologi Paolo Pantini e Marco Isaia, in collaborazione con Fulvio GasparoHarald Hansen e Alessio Trotta, aggiornata periodicamente con le nuove scoperte e i nuovi rinvenimenti.

Al 2002, risultano rinvenute in Italia 1411 specie, di cui 213 erano endemismi, presenti esclusivamente sul territorio italiano in una o più località.

Al 2004, nel lavoro di Alessio Trotta, sono state censite 1534 specie appartenenti a 375 diversi generi di 49 famiglie di ragni rinvenute nel territorio della nazione.

Ad aprile 2016, nella Checklist dei ragni italiani, risultano sul territorio italiano 1620 specie appartenenti a 426 diversi generi di 54 famiglie di ragni. Le sottospecie identificate sono 26, da riferirsi a 13 specie diverse.

Considerazioni analiticheUna disamina di questi ultimi dati per sottordine ha evidenziato:

  1. Agelenidae (62 specie, 3 ssp.)

  2. Amaurobiidae (12 specie)

  3. Anapidae (3 specie)

  4. Anyphaenidae (3 specie)

  5. Araneidae (61 specie)

  6. Clubionidae (29 specie)

  7. Cybaeidae (6 specie)

  8. Dictynidae (28 specie)

  9. Dysderidae (80 specie e 4 ssp.)

  10. Eresidae (5 specie)

  11. Eutichuridae (14 specie)

  12. Filistatidae (3 specie)

  13. Gnaphosidae (156 specie e 6 ssp.)

  14. Hahniidae (17 specie)

  15. Leptonetidae (8 specie e 1 ssp.)

  16. Linyphiidae (470 specie)

  17. Liocranidae (23 specie)

  18. Lycosidae (104 specie e 2 ssp.)

  19. Mimetidae (6 specie)

  20. Miturgidae (9 specie)

  21. Mysmenidae (3 specie)

  22. Nesticidae (7 specie)

  23. Oecobiidae (4 specie)

  24. Oonopidae (10 specie)

  25. Oxyopidae (4 specie e 2 ssp.)

  26. Palpimanidae (1 specie)

  27. Philodromidae (40 specie)

  28. Pholcidae (7 specie)

  29. Phrurolithidae (6 specie)

  30. Pimoidae (3 specie)

  31. Pisauridae (6 specie)

  32. Prodidomidae (1 specie)

  33. Salticidae (139 specie)

  34. Scytodidae (2 specie)

  35. Segestriidae (5 specie)

  36. Selenopidae (1 specie)

  37. Sicariidae (1 specie)

  38. Sparassidae (5 specie e 2 ssp.)

  39. Synaphridae (1 specie)

  40. Tetragnathidae (19 specie)

  41. Theridiidae (108 specie e 4 ssp.)

  42. Theridiosomatidae (1 specie)

  43. Thomisidae (76 specie e 2 ssp.)

  44. Titanoecidae (7 specie)

  45. Trachelidae (4 specie)

  46. Uloboridae (5 specie)

  47. Zodariidae (20 specie)

  48. Zoropsidae (3 specie)

Al primo posto per varietà di specie troviamo i Linyphiidae con il 29,1% delle specie rinvenute in Italia; seguono gli Gnaphosidae (9,6% delle specie); i Salticidae (8,4% delle specie); Theridiidae (6,7% delle specie); i Lycosidae (6,4% delle specie); i Dysderidae (4,9% delle specie) e i Thomisidae (4,7% delle specie).

Insetti parassiti: Immagine
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Mosca

Dittero

Mosca è il nome comune con cui si indica un generico insetto dell'ordine dei Ditteri che nell'immaginario collettivo presenta alcune caratteristiche di ordine morfologico ed etologico. L'uso di questo nome fa riferimento, in contesti differenti, a diverse accezioni e non è possibile indicare una rigorosa definizione del nome comune su base esclusivamente tassonomica.

Antonomasia

Per antonomasia si associa il nome di mosca alla "mosca domestica" (Musca domestica), dittero cosmopolita e ubiquitario, comune in tutti gli ambienti frequentati dall'uomo, aperti o chiusi. La stretta relazione di commensalismo che lega la mosca domestica all'uomo ne rende familiare sia l'aspetto esteriore sia il comportamento. Per estensione si tende spesso ad associare il termine "mosca" a qualsiasi dittero che più o meno vagamente possa ricordare la mosca domestica nel comportamento e soprattutto nell'aspetto.

Accezione comune

Nel linguaggio comune l'uso appropriato del termine è correlato alla capacità di percepire in modo consapevole le differenze morfologiche ed etologiche che intercorrono tra la mosca domestica e un qualsiasi altro dittero. Gli stessi esperti, almeno nel linguaggio informale, indicano con il nome di mosca non solo la specie Musca domestica, ma anche le specie del genere Musca e per estensione quelle della famiglia Muscidae. L'uso frequente di questa estensione fra gli specialisti comporta la necessità di aggiungere l'aggettivo "domestico" quando in genere si fa specifico riferimento alla M. domestica.

Nei profani la capacità di percepire le specificità morfologiche ed etologiche nell'ambito dei ditteri si riduce e aumentano perciò i contesti in cui il termine "mosca" è usato in senso esteso e più o meno inappropriato, fino a comprendere tutti i ditteri che per vaga somiglianza e per dimensioni ricordano la mosca domestica. A rigore in questi casi il termine è sinonimo di "dittero muscoide" e fa riferimento ad un qualsiasi dittero che nell'immediata percezione non è riconducibile ad una zanzara o ad un moscerino o che comunque non presenta particolari specificità morfologiche. Per esempio la percezione di una marcata differenza delle dimensioni comporta l'uso comune del termine moscone per indicare i ditteri muscoidi di grandi dimensioni, come i Sarcofagidi, e l'uso comune del termine moscerino per indicare non solo i Nematoceri, ma anche i ditteri muscoidi di piccole dimensioni come per esempio i Drosofilidi. La percezione di marcate differenze nella pigmentazione comporta differenti approcci. Per esempio l'aposematismo e l'etologia che caratterizzano i Sirfidi difficilmente li porta ad essere associati alla mosca propriamente detta, pur avendo molte specie un aspetto muscoide, poiché ad un'osservazione non attenta sono facilmente scambiati dagli inesperti per imenotteri apoidei. Al contrario nel caso delle Lucilia (Diptera: Calliphoridae), la percezione della morfologia prevale su quella cromatica nonostante i caratteristici colori metallici le rendano facilmente riconoscibili; infatti questi insetti sono associati alle mosche e nel linguaggio comune ci si limita per lo più ad aggiungere un aggettivo che specifica il colore.

Aspetto muscoide

L'aspetto muscoide

In generale i principali caratteri che possono identificarsi nell'aspetto muscoide e che associano un dittero alla mosca domestica sono i seguenti:

  • insetti di dimensioni medie (5-10 mm);

  • corpo compatto ben distinto in capotorace e addome e provvisto di zampe e ali funzionali;

  • apparato succhiante ben visibile, utilizzato per cibarsi di resti organici sfruttando la saliva, nel caso dei tafani femmina l'apparato è perforante-succhiante

  • livrea con pigmentazione grigia o anche con sfumature verso il nero o verso il bruno;

  • mancata percezione delle antenne;

  • capo ben evidente, libero, largo e con occhi grandi;

  • torace largo e robusto, relativamente breve;

  • addome fusiforme, poco evidente;

  • una coppia di ali ben sviluppate, trasparenti, disposte orizzontalmente ai lati dell'addome in posizione di riposo.

Alla percezione delle caratteristiche morfologiche possono eventualmente aggiungersi alcuni aspetti etologici, tra cui l'abilità nel volo, l'emissione del ronzio, la capacità di camminare su qualsiasi superficie, anche il vetro, indipendentemente dall'orientamento, la molestia, la frequentazione di particolari ambienti.

Accezioni specifiche

Nel linguaggio comune e nel linguaggio tecnico informale si associa al sostantivo mosca un aggettivo o una locuzione per far riferimento ad una specie o ad un gruppo di specie simili, generalmente caratterizzate da specifici comportamenti, spesso delle larve. In questi casi l'adozione del termine mosca prescinde dalla distanza filogenetica che intercorre fra il dittero in questione e la mosca domestica. In genere il termine è comunque applicato ad un dittero del sottordine dei Brachiceri, ma esistono casi in cui si applica anche ad insetti appartenenti ad altri ordini.

Nel caso di ditteri brachiceri, la locuzione è spesso sostituita dal semplice sostantivo (mosca) quando il riferimento non lascia alcun dubbio. Per esempio in una conversazione o un testo che trattano della "mosca delle olive", si può usare spesso il semplice nome "mosca" per fare riferimento alla specie Bactrocera oleae senza alcuna ambiguità.

Nella seguente tabella sono riportati alcuni esempi di accezioni specifiche del termine "mosca".

Nome comuneSpecie o genereFamigliaNome comuneSpecie o genereFamiglia

Mosca cavallinaVarieTabanidaeMosca del formaggioPiophila caseiPiophilidae

Hippobosca equinaHippoboscidaeMosca della bietolaPegomyia betaeAnthomyiidae

Stomoxys calcitransMuscidaeMosca tse-tseGlossina sp.Glossinidae

Mosca delle oliveBactrocera oleaeTephritidaeMosca grigia della carneSarcophaga sp.Sarcophagidae

Mosca del meloneBactrocera cucurbitaeTephritidaeMosca domestica minoreFannia canicularisFanniidae

Mosca orientale della fruttaBactrocera dorsalisTephritidaeMosca giallaScatophaga stercorariaScathophagidae

Mosca mediterranea della fruttaCeratitis capitataTephritidaeMosca azzurra della carne Calliphora sp.Calliphoridae

mosca mediterraneamoscatephritidaeMosca verdeLucilia sp.Calliphoridae

Mosca dell'asparagoPlatyparea poecilopteraTephritidaeMosca della carotaPsila rosaePsilidae

Mosca del sedanoEuleia heracleiTephritidaeMosca del cervoLipoptena cerviHippoboscidae

Mosca della noceRhagoletis completaTephritidae

La mosca nella cultura

Stemma del comune di Pressy, dipartimento del Passo di Calais, Francia, ornato con mosche

In araldica l'insistenza tipica della mosca nel molestare gli altri esseri è stata sublimata in tenacia in battaglia e con tale significato compare come elemento decorativo dei blasoni. La mosca araldica è generalmente rappresentata rampante, ovvero con la testa rivolta verso l'alto.

In astronomia la Mosca è una delle dodici costellazioni introdotte da Petrus Plancius nel XVI secolo. Originariamente rappresentava un'ape verso cui il Camaleonte protendeva la propria lingua. Nel XVIII secolo Nicolas Louis de Lacaille la ribattezzò Mosca Australe. L'aggettivo cadde in disuso quando fu soppressa la costellazione della Mosca Boreale.

La piccolezza

La mosca, in quanto insetto di minuscole dimensioni, viene talvolta impiegata in denominazioni metaforiche che fanno allusione alla piccolezza e/o alla leggerezza.

In ambito biologico "uccello-mosca" è una denominazione corrente dei colibrì, una famiglia di uccelli dalle dimensioni estremamente ridotte; il colibrì di Elena Mellisuga helenae, che ne fa parte, è il più piccolo uccello vivente. Analogamente nella boxe la categoria dei pesi mosca è quella col limite di peso più basso, almeno nella European Boxing Union.

Religione

Belzebù, il nome di una divinità filistea adorata in epoca biblica nella città di Ekron, significa letteralmente "Signore delle Mosche".

Letteratura

La mosca e i ditteri in generale sono insetti che hanno avuto da sempre una particolare presenza in letteratura.

Numerose sono le opere che contengono questo animale menzionato nel titolo e tantissimi sono quelle in cui questo dittero fa la propria apparizione nel testo. Luciano di Samosata, autore greco del II secolo d.C., scrisse un'operetta retorica intitolata Elogio della mosca, che consiste in un encomio paradossale (paignion) in cui l'autore esalta le caratteristiche fisiche e persino morali dell'insetto. Ai giorni nostri sono numerose le intrusioni nelle pagine di letterati di tutto rispetto come Pirandello (La mosca), Sartre (Le mosche, 1943), CamusSimenon[5]William Golding (Il signore delle mosche). Inoltre nella celebre fiaba dei fratelli Grimm Sette in un colpo, il sarto protagonista si vanta di aver ucciso sette mosche in un colpo solo facendo credere a tutti i personaggi che incontra che si tratti di uomini. Questo equivoco permette al protagonista di compiere le imprese più temerarie che si possano immaginare.

Carlo Crivelli (1473): "Madonna con Bambino", una mosca è dipinta, in modo realistico con ombra sul ripiano in basso a sinistra

Un aneddoto di Giorgio Vasari sulla giovinezza del pittore Giotto e sul suo carattere riguarda un curioso trompe-l'œil: nell'aneddoto si narra che Giotto, ancora apprendista di Cimabue, dipinse su un'opera del maestro una mosca in modo così convincente da far sì che Cimabue cercasse di scacciarla.

Leggende metropolitane[modifica | modifica wikitesto]

Secondo una leggenda metropolitana particolarmente diffusa nel nord Italia e non basata su ricerche scientifiche, affiggere un cartello con scritto in nero a caratteri grandi il numero 58 terrebbe lontano le mosche. Questa tesi si basa sulla presupposizione che l'insetto vedrebbe nel cartello il pericolo di una ragnatela, tenendosi quindi a distanza.

Insetti parassiti: Immagine
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Zanzara

Dittero

Le zanzare (Culicidae Meigen1818) sono una famiglia di insetti dell'ordine dei Ditteri (NematoceraCulicomorpha). Questa famiglia, che conta circa 3540 specie, costituisce il gruppo più numeroso della superfamiglia dei Culicoidea, che a sua volta comprende insetti morfologicamente simili ai Culicidi ma, ad eccezione dei Corethrellidae, incapaci di pungere.

Caratteristica generale propria dei Culicidi è la capacità del particolare apparato boccale, presente esclusivamente nelle femmine, di pungere altri animali e prelevarne i fluidi vitali, ricchi di proteine necessarie per il completamento della maturazione delle uova. La presenza di diverse specie ematofaghe, associate all'uomo e agli animali domestici e in grado di trasmettere alla vittima microrganismi patogeni, attribuisce ai Culicidi una posizione di primaria importanza sotto l'aspetto medico-sanitario.

La storia di questa famiglia è poco documentata. La maggior parte dei resti fossili rinvenuti fanno capo a specie congeneri, affini a quelle attuali, vissute nell'Oligocene e nell'Eocene, altri reperti risalgono invece al Miocene. L'origine della famiglia è comunque databile, come per la maggior parte dei Nematoceri, al Mesozoico, per quanto pochi siano i reperti fossili: i più antichi culicidi rinvenuti risalgono al Giurassico inferiore o, più recentemente, fra il Giurassico superiore e il Cretaceo.

​​Morfologia

Adulto

Le zanzare hanno un corpo allungato, esile e delicato, di piccole o medie dimensioni, in genere lungo 3-9 mm, al massimo 15 mm. La livrea è poco appariscente. Vi è uno spiccato dimorfismo sessuale che riguarda in particolare l'aspetto delle antenne, piumose in entrambi i sessi ma con setole più lunghe e più dense nel maschio, e la morfologia e la struttura dell'apparato boccale, in grado di perforare e succhiare nelle femmine.

Capo di una femmina.

Il capo degli insetti è ipognato, privo di ocelli e con occhi grandi e separati in entrambi i sessi. Le antenne sono relativamente lunghe e composte da 15 articoli. Il secondo articolo, detto pedicello, è vistosamente più grosso degli altri per la presenza dell'organo di Johnston: si tratta di un'espansione a coppa contenente all'interno un numero elevato di scolopidi, ovvero sensilli tricoidei dalla funzione complessa che, nei Culicidi, svolgono un ruolo fondamentale nella riproduzione.

L'apparato boccale è di tipo pungente-succhiante nelle femmine e semplicemente succhiante nei maschi. L'apparato boccale del maschio presenta l'epifaringe fusa con la prefaringe ed ha mandibole e mascelle rudimentali o del tutto assenti. Conseguenza di questa struttura è l'incapacità di perforare.

Sezione schematica dell'apparato boccale delle femmine. a: labbro superiore; b: epifaringe; c: canale alimentare; d: palpo mascellare; e: mandibola; f: mascella; g: ipofaringe; h: canale salivare; i: labbro inferiore.

Nelle femmine, la conformazione degli stiletti boccali è tale da rendere il suo apparato uno dei più perfezionati nello svolgimento della sua funzione. Il lato ventrale del labbro superiore (epifaringe) è fortemente concavo e conformato a doccia in tutta la sua lunghezza. Le mandibole sono sottili e allungate e nell'estremità distale sono conformate a lama acuminata e tagliente. Le mascelle sono in gran parte ridotte e presentano invece un marcato sviluppo del lobo esterno (galea), che si presenta sottile e allungata, come la mandibola, e terminante con un'espansione a lama denticolata; alla base della mascella si inserisce il palpo mascellare, in genere composto da 5 articoli ma con gli ultimi due segmenti ridotti o assenti. Il labbro inferiore (detto proboscide) è conformato a doccia e termina con due lobi, formanti il labellum, aventi funzione sensoriale.

Dalla cavità orale sporge la prefaringe o ipofaringe, conformata a lamina allungata e percorsa, nel suo interno, da un dotto escretore attraverso il quale viene iniettata la saliva (canale salivare). Tutte le appendici boccali sono marcatamente sottili e allungate (dette perciò stiletti). La perforazione è eseguita dalle estremità taglienti delle mandibole e delle galee mascellari e nella ferita vengono infilati tutti gli stiletti ad eccezione del labbro inferiore. La suzione è praticata dal canale alimentare, formato dalla concavità dell'epifaringe chiusa ventralmente dall'ipofaringe. Il labbro inferiore svolge la funzione di conservare gli stiletti in posizione di riposo; durante l'alimentazione viene ripiegato a gomito, con l'estremità che funge da guida nell'atto di penetrazione da parte degli stiletti.

Torace del maschio visto dall'alto. Da notare il notevole sviluppo dello scuto e, più sopra, il margine posteriore trilobato dello scutello, tipico della maggior parte dei Culicinae.

Il torace è dorsalmente composto in gran parte dallo scuto e presenta il margine posteriore dello scutello leggermente trilobato nella maggior parte dei Culicinae (escluso Toxorhynchites) e uniformemente arrotondato negli Anophelinae e in Toxorhynchites. Le zampe sono esili e lunghe, con tarsi composti da cinque articoli. Le ali sono strette e lunghe, con nervature rivestite da squame e setole e membrana rivestita da microtrichi. Hanno un profilo subrettangolare, con margine posteriore uniformemente convesso e lobo anale ampio. In fase di riposo sono ripiegate orizzontalmente sull'addome e reciprocamente sovrapposte.

La nervatura presenta la costa estesa all'intero margine, la subcosta lunga e parallela, confluente nel terzo distale del margine anteriore, radio suddivisa in quattro ramificazioni, media e cubito in due ramificazioni. Le vene più sviluppate sono quelle radiali, i cui rami confluiscono sulla zona apicale con percorsi diritti e paralleli. Le cellule basali sono due, delimitate rispettivamente dalla base della radio, dalla base della media e dalla base della cubito e, dal lato distale, da una successione di nervature trasverse composta dal settore radiale, dal tratto basale di R4+5, dalla radio-mediale, dalla medio-cubitale e dalla base del primo ramo della cubito. La prima biforcazione della media precede la confluenza della radio-mediale, perciò la cellula basale anteriore è leggermente più lunga di quella posteriore.

Particolare dell'addome. In evidenza tre differenti tipi di rivestimenti tricoidei: setole squamiformi (appiattite), setole o macrotrichi (lunghe), microtrichi (brevi).

L'addome è cilindrico, relativamente lungo e sottile. Nei maschi, gli ultimi due uriti, il nono e il decimo, portano le gonapofisi, organizzate in una struttura complessa detta ipopigio. Questi uriti, nell'arco di 24 ore dopo lo sfarfallamento, subiscono una torsione di 180°, con inversione reciproca della posizione degli urotergiti e degli urosterniti. L'addome della femmina termina con due cerci.

Stadi preimmaginali

La larva è apodaeucefala, con capo grande, segmenti toracici espansi e fusi e addome sottile e regolarmente segmentato fino all'ottavo urite. Si distingue facilmente da altre comuni larve acquatiche di Nematoceri per l'assenza di pseudopodi. Le antenne non sono prensili e l'apparato boccale è di tipo masticatore caratterizzato da mandibole denticolate e da una spazzola di setole posizionata nel labbro superiore, usata come organo filtrante. L'apparato respiratorio è metapneustico, con un paio di stigmi addominali;

la posizione degli stigmi differenzia la sottofamiglia degli Anophelinae dagli altri Culicidi: negli Anophelinae, gli stigmi sono disposti su una piastra sclerificata dorsale del penultimo segmento addominale (l'ottavo), mentre nei Culicinae sono portati all'apice di un sifone respiratorio portato sempre dall'ottavo urite. Questo carattere distintivo spiega la differente postura assunta dalle larve nel loro habitat. L'ultimo segmento, ottenuto dalla fusione degli uriti IX e X, porta 4 papille anali e due ciuffi di setole. Ciuffi radi di setole sono distribuiti anche sul tegumento dei segmenti toracici e addominali. Le setole hanno la funzione di coadiuvare la larva nei movimenti e, nel caso degli Anophelinae, di permettere l'adesione al pelo libero dell'acqua.

Anopheles sp.
Larva (in alto) e pupa (a lato).

La pupa ha una forma caratterizzata dallo sviluppo del cefalotorace, molto ingrossato rispetto all'addome, e da quest'ultimo sottile, pendulo e ricurvo; l'aspetto d'insieme ricorda quello di una virgola. Nella parte dorsale del cefalotorace sono presenti due cornetti respiratori, l'ultimo urite termina con due processi appiattiti, con funzione natatoria.

Anatomia]

Per l'importanza del regime dietetico delle femmine, una particolare attenzione è riservata alla struttura anatomica dell'apparato digerente in questo sesso. Il tratto anteriore dello stomodeo, dalla faringe all'esofago, è caratterizzato nella maggior parte dei Culicidi dalla presenza di dentelli, più o meno sviluppati, la cui funzione è quella di rompere i globuli rossi del sangue aspirato ed i parassiti eventualmente presenti. La struttura più evidente è rappresentata, in ogni modo, dal sistema di diverticoli ciechi associati all'esofago, nella sua parte terminale, ubicata nel torace. Questi diverticoli sono in numero di tre, di cui due dorsali, simmetrici e di forma globosa, e uno ventrale, impari. Quest'ultimo, detto borsa del sangue si estende ventralmente per tutto il torace e la metà anteriore dell'addome. La funzione della borsa del sangue, malgrado il nome, non è associata all'ematofagia: in essa si accumulano, infatti, liquidi zuccherini di origine vegetale, assunti nell'ordinaria alimentazione. Meno conosciuta è invece la funzione dei diverticoli dorsali.

L'esofago termina nel proventricolo, una piccola espansione da cui parte il mesentero. Fra l'esofago e il proventricolo è posizionata la valvola cardiaca, che svolge la funzione di regolare il flusso dei liquidi dai diverticoli al mesentero. Il mesentero si compone di due parti, una anteriore, detta cardia, una posteriore detta stomaco. Il primo ha la conformazione di un tubo che si estende dal proventricolo e percorre il torace fino all'inizio dell'addome. Il secondo è una dilatazione del tubo digerente posizionata nella parte intermedia dell'addome e in essa si accumula il sangue succhiato dalla femmina. Come in tutti gli insetti, il sangue è avvolto dalla membrana peritrofica, al cui interno si svolgono i processi digestivi.

Il fondo dello stomaco comunica con il proctodeo attraverso la valvola pilorica. Il tratto iniziale del proctodeo è moderatamente espanso, si restringe in corrispondenza del colon e si espande nuovamente nel tratto finale, il retto. All'inizio del proctodeo si innestano i tubi malpighiani, che nelle zanzare sono in numero di cinque.

L'apparato visivo è composto da occhi muniti di ommatidium che contengono un ammasso di cellule fotorecettori circondate da cellule di sostegno e cellule del pigmento, la parte esterna è rivestito con una cornea trasparente, l'ommatidium è innervato da un fascio assone e fornisce al cervello un elemento dell'immagine. Il cervello forma un'immagine da questi elementi di immagine indipendenti.
Il diametro medio degli ommatidium equivale a 17,2 micron e l'angolo interno è di 6,2 gradi, che porta ad avere un angolo minimo 12,3 gradi, come conseguenza si verifica una ridotta acuità ma con elevata sensibilità generale alla luce con sensibilità spettrale compresa dai 323 nm a 621 nm con picchi di sensibilità a 323-345 nm e 523 nm.

Biologia Ciclo e sviluppo postembrionale

Larve di Culex. Al centro, una pupa.

Il ciclo delle zanzare può essere, secondo la specie e l'ambiente, univoltino (una sola generazione l'anno) o multivoltino (con più generazioni). In questo caso il numero di generazioni può variare notevolmente, ma in genere si succedono, nelle comuni zanzare, 15 generazioni l'anno nel caso di Culex pipiens. Negli ambienti tropicali, l'avvicendamento delle generazioni è continuo, mentre nelle regioni temperate si osserva una fase di svernamento rappresentata, secondo la specie, da differenti stati di sviluppo: ad esempio, gli Aedes svernano per la maggior parte allo stadio di uovo, i Culiseta allo stadio di larva, i Culex e gli Anopheles allo stadio di adulto.

Lo sviluppo postembrionale si svolge attraverso quattro stadi di larva e uno di pupa. L'intera fase di sviluppo si svolge nell'acqua, in un intervallo di tempo di durata subordinata alle condizioni climatiche, soprattutto la temperatura, e all'eventuale attraversamento di una fase di quiescenza invernale. In estate lo sviluppo delle larve può completarsi in pochi giorni. Lo stadio di pupa, privo di forme svernanti, si svolge sempre in condizioni favorevoli e richiede in genere 2-3 giorni per il suo completamento. In generale la durata del ciclo di sviluppo varia da quattro giorni a un mese. Ad esempio, la specie Culex tarsalis può completare il ciclo in 14 giorni a 20 °C oppure in soli 10 giorni a 25 °C.

Lo sfarfallamento dei maschi precede di 24 ore quello delle femmine; lo scopo biologico è quello di preparare il maschio all'accoppiamento in quanto in tale intervallo temporale si svolge la torsione di 180° dell'ipopigio. Nei primi 1-2 giorni, gli adulti manifestano una sostanziale inattività, poi iniziano ad alimentarsi a spese di sostanze zuccherine: questa fase della nutrizione è essenziale per l'acquisizione dell'energia necessaria per l'attività di volo, fondamentale per la riproduzione. La durata di vita degli adulti è variabile, ma caratterizzata da una maggiore longevità delle femmine. In genere i maschi hanno una vita di 10-15 giorni, mentre le femmine vivono per un periodo variabile da un mese (nelle generazioni estive) a 4-5 mesi (nel caso di femmine svernanti).

Ovideposizione


Ovature di Culex.

La deposizione delle uova varia notevolmente secondo la specie. In generale, affinché si completi l'embriogenesi, le uova devono essere immerse nell'acqua; tuttavia si sono sviluppati meccanismi comportamentali finalizzati a garantire la sopravvivenza delle specie anche in condizioni ambientali difficili, in cui la presenza dell'acqua è associata ad una certa aleatorietà. Ad esempio, le uova di Aedes possono sopravvivere in ambiente asciutto anche per 2 o 3 anni, ma una volta avvenuto l'umettamento, l'embriogenesi deve completarsi senza che si abbia un nuovo essiccamento.

La deposizione può dunque avvenire anche sopra l'acqua, per fare in modo che il processo si avvii solo a seguito di un innalzamento del livello, sulla vegetazione di piante acquatiche (es. Coquillettidia e Mansonia) oppure su supporti solidi di varia natura (es. Aedes). Altre specie, invece depongono le uova direttamente nell'acqua, in generale stagnante, con modalità differenti: negli Anopheles e nei Culex, la femmina depone posandosi sulla superficie sfruttando la tensione superficiale, mentre nei Toxorhynchitii e nei Sabethini, la femmina depone volando sull'acqua senza posarsi.

Differenti sono anche le caratteristiche delle ovature. Ad esempio, gli Anopheles depongono uova isolate e sparse, ciascuna dotata di un apparato di galleggiamento presente ai lati, mentre i Culex depongono le uova aggregate a palizzata in piccole galleggianti di decine o centinaia. Il numero di uova deposte varia di specie in specie: le femmine di Culex e Anopheles possono deporre anche fino a 500 uova dopo il pasto di sangue, mentre quelle di Aedes depongono al massimo 100-150 uova.

Un aspetto interessante associato all'ovideposizione è l'esistenza di relazioni chemiotropiche fra adulti e uova o fra adulti e larve, probabilmente finalizzato a ottimizzare le condizioni di sopravvivenza della specie. Le larve o talvolta le uova (es. Culex pipiens) emettono feromoni aggreganti che attirano le femmine feconde e le inducono a deporre altre uova.

Biologia degli stadi preimmaginali


Rappresentazione delle posizioni assunte dalle larve di Anopheles e Culex. A: sifone respiratorio; B: aperture stigmatiche; C: setole palmate.

Il comportamento delle larve è strettamente correlato alla loro morfologia: pur svolgendo il loro sviluppo completamente sommerse, le larve dei Culicidi sono acquaiole e non acquatiche. Infatti non dispongono di strutture respiratorie di tipo branchiale e non possono perciò sfruttare l'ossigeno disciolto nell'acqua, Per respirare devono perciò prelevare l'aria dalla superficie dello specchio d'acqua oppure dai parenchimi aeriferi delle piante sommerse. In tutti i casi gli scambi respiratori si svolgono per mezzo degli stigmi addominali.

Le larve di Anopheles portano gli stigmi sulla piastra addominale dorsale. Queste larve stanno perciò immediatamente sotto la superficie dell'acqua mantenendo una posizione orizzontale con il dorso rivolto verso l'alto. La sospensione avviene per mezzo dei ciuffi di setole dorsali dell'addome, che sfruttano la tensione superficiale.

Le larve degli altri Culicidi portano invece gli stigmi all'apice di un sifone respiratorio e la loro posizione dipende dalla fonte d'aria. Nel genere Mansonia, il sifone respiratorio è trasformato in organo perforante, in grado di penetrare nei tessuti delle piante acquatiche e prelevare l'aria dal parenchima. Queste larve si rinvengono perciò legate ad una pianta sommersa. Le larve della maggior parte dei Culicinae restano invece sospese sotto la superficie attraverso il sifone, sempre sfruttando la tensione superficiale, con una posizione capovolta; facendo riferimento ai generi più rappresentativi, le larve di Culex hanno una posizione verticale e capovolta, mentre quelle di Aedes hanno una posizione sempre capovolta ma obliqua.

Alimentazione della larva di Anopheles. Nel filmato si vede la rotazione del capo di 180°, con uno scatto, e il rapido movimento delle spazzole filtranti.

Le larve dei Culicidi sono in genere organismi filtranti che si nutrono di microrganismi acquatici o di detriti. Le larve di Anopheles si nutrono di alghe microscopiche presenti nel plancton. Per alimentarsi, a causa della posizione orizzontale obbligata assunta per la respirazione, devono perciò ruotare il capo con una torsione di 180° sull'asse sagittale. Le larve dei Culicinae, invece, restando sospese per mezzo del tubo respiratorio hanno una maggiore libertà di movimento e possono nutrirsi prelevando alimenti sospesi nell'acqua oppure, ripiegandosi ad U, dalla superficie; in acque basse possono prelevare il cibo anche dal fondo.

In alcune specie è stato riscontrato il cannibalismo, condizione che si verifica quando le risorse alimentari sono scarse in rapporto alla popolazione. Altri meccanismi di regolazione della dinamica di popolazione consistono nel rilascio, da parte di larve mature, di sostanze tossiche nei confronti delle neonate.

Da segnalare, infine, la marcata zoofagia delle larve di Toxorhynchites, che si nutrono predando altre larve di Culicidi e sono perciò utili come organismi antagonisti nel controllo biologico delle zanzare ematofaghe.

La pupa resta in genere sospesa sotto il pelo libero dell'acqua affidando ai cornetti respiratori gli scambi d'aria con la superficie. La pupa di Mansonia richardii resta invece completamente immersa, prelevando l'aria dal parenchima aerifero dell piante acquatiche.

Biologia degli adult

Alimentazione del maschio di Ochlerotatus.

Alimentazione

L'alimentazione degli adulti rientra nell'ordinario comportamento che si riscontra nella generalità dei Nematoceri: le zanzare sono insetti fondamentalmente glicifagi che si nutrono di nettare e melata, liquidi zuccherini da cui sono soddisfatti i fabbisogni energetici. L'ematofagia o, più in generale, la zoofagia assume invece un ruolo fisiologico nelle femmine, esigenza peraltro non riscontrata nella maggior parte dei nematoceri: l'emoglobina o altre proteine, assunte con la suzione dei fluidi ematici di vertebrati o invertebrati, forniscono l'apporto proteico necessario a completare la maturazione delle uova.

Nella maggior parte delle zanzare, la maturazione delle uova ha inizio dallo sfarfallamento, ma in genere si interrompe per l'insufficiente disponibilità proteica. Il completamento della maturazione ha luogo solo dopo aver assunto un pasto di sangue o, in alternativa, di emolinfa. La zoofagia ha tuttavia delle eccezioni:

  • in alcune specie, le femmine, dette autovigeniche, sono in grado di far maturare le uova della prima ovatura senza necessariamente assumere il pasto di sangue; in queste specie l'ematofagia è obbligata solo a partire dalla seconda ovatura. L'autovigenesi si riscontra anche in altri nematoceri ematofagi, ad esempio i Simulidi;

  • in altri culicidi, ad esempio nei Toxorhynchitini, le femmine non sono mai ematofaghe perché portano in ogni modo le uova a maturazione.

La zoofagia si manifesta generalmente a spese del sangue di mammiferiuccellirettili e anfibi oppure a spese dell'emolinfa di altri artropodi. Può esserci anche l'aggressione nei confronti di altri organismi ematofagi che hanno appena succhiato il sangue da un vertebrato. In generale il rapporto trofico fra culicide e ospite è di tipo preferenziale, ma non esiste una specializzazione biologica obbligata.

Femmina di Aedes aegypti nell'atto di una puntura sull'uomo.

Di particolare importanza sono gli aspetti etologici associati all'ematofagia. A differenza di altri nematoceri ematofagi, nei quali la ricerca dell'ospite si basa principalmente su stimoli visivi oppure sonori, nei culicidi l'attrazione è principalmente chemiotropica e basata sull'emissione di cairomoni[9] con il concorso di altri fattori di natura fisica, associati alla percezione del calore e dei colori. I meccanismi di attrazione della specie umana nei confronti delle zanzare è alquanto complesso ed è tuttora oggetto di studio, in ogni modo alcune informazioni, sia pur parziali, sono acquisite fin dagli anni sessanta. Nella specie umana, il cairomone principale è rappresentato dall'acido lattico prodotto dall'attività muscolare, con un'azione sinergica da parte dell'anidride carbonica e del vapore acqueo emessi dalla respirazione. Fra le emissioni dell'ospite, azione attrattiva accessoria è svolta anche da sostanze volatili presenti nel sudore e nel sebo. Studi più recenti, infine, ipotizzano una possibile azione attrattiva anche da parte di sostanze prodotte dalla microflora che si annida sulla cute. È stato inoltre riscontrato che le zanzare rilasciano, sull'ospite, feromoni di aggregazione che hanno effetto di attrazione su altre femmine; in altri termini, le femmine marcano l'ospite che hanno aggredito lasciando sostanze attrattive che attirano altre femmine.

Sul meccanismo di attrazione, essenzialmente chemiotropico, interferiscono la temperatura della pelle (optimum a 34 °C) e i moti convettivi dell'aria calda, verso l'alto, emessa dalla respirazione. Infine hanno una funzione accessoria altri stimoli, di natura visiva, come il colore della pelle. L'individuazione della vittima da parte della zanzara avviene seguendo in controcorrente il flusso di aria calda emessa, con il percorso a zig zag tipico degli approcci mediati dai feromoni. In assenza di moti d'aria, il processo di avvicinamento è più casuale.

La differente postura assunta dalle femmine di Anopheles (a sinistra) e Culex a destra. Si osservi come le zanzare tengono le zampe posteriori sollevate, contrariamente ai Chironomidi che tengono invece sollevate le zampe anteriori.

Una volta raggiunto l'ospite, la femmina sceglie il punto da perforare sfruttando i sensilli del labellum del labbro superiore. La perforazione avviene ad opera delle mandibole e delle mascelle fino a raggiungere un capillare sanguigno. A questo punto la zanzara introduce nella ferita tutti gli stiletti boccali, ad eccezione della proboscide. Quest'ultima viene ripiegata e usata come guida facilitando lo scorrimento degli stiletti. La suzione è preceduta dall'immissione della saliva, attraverso il canale salivare compreso nello spessore dell'ipofaringe. La saliva ha una funzione anticoagulante e anestetizzante ma soprattutto svolge un effetto rubefacente, in quanto stimola un aumento del flusso sanguigno nel capillare. Lo scopo biologico sarebbe quello di ridurre i tempi di svolgimento della suzione e permettere perciò alla zanzara di completare il pasto prima della reazione della vittima.

Etologia

L'attività degli adulti è regolata da bioritmi, che dipendono dalla specie e dalla popolazione, e che mostrano in genere uno o due picchi giornalieri di massima intensità alternati a fase di riposo. In molte specie questi picchi si verificano nelle ore notturne, dal crepuscolo all'alba, tuttavia vi sono anche specie che hanno attività nelle ore diurne.

La mobilità dipende soprattutto da fattori genetici legati alla specie. Alcune specie hanno un raggio di azione molto stretto, dell'ordine delle decine o delle centinaia di metri, altre sono invece in grado di spostarsi anche su grandi distanze. La velocità in volo può variare, secondo le specie, da 0,5 a 4–5 km/h.

Riproduzione


Femmina di zanzara durante l'ovideposizione.

Il comportamento sessuale delle zanzare è caratterizzato dall'esistenza di meccanismi che regolano l'incontro tra i due sessi, a quelli che ottimizzano l'atto riproduttivo in funzione della maturità sessuale delle femmine, a quelli che regolano la fecondità delle femmine nell'arco della loro vita.

I maschi possono riunirsi in sciami danzanti, al tramonto, talvolta in grande numero. Questi sciami svolgerebbero un effetto attrattivo sulle femmine, subordinato tuttavia alla percezione di stimoli olfattivi associata alla maturazione sessuale. Nelle zanzare si riscontra spesso anche il fenomeno della stenogamia, ovvero la possibilità di accoppiarsi in spazi ristretti, attraverso meccanismi di sincronizzazione temporale e spaziale dei voli variabili di specie in specie. Questo fenomeno si riscontra in particolare in aree tropicali.

L'attrazione dei maschi da parte delle femmine è invece basata su stimoli acustici: l'organo di Johnston dei maschi è infatti principalmente deputato alla percezione del ronzio emesso dalle ali della femmina in volo. Un aspetto interessante è la differente frequenza del ronzio, che diminuisce passando dai maschi alle femmine mature e a quelle immature. I maschi sarebbero in grado di percepire solo la frequenza del ronzio prodotto dalle femmine mature, evitando perciò le interferenze reciproche fra maschi e, nel contempo, l'interferenza con l'attività delle femmine immature.

L'accoppiamento si svolge in volo e dura in genere pochi secondi. Una sola femmina può accoppiarsi con più maschi, ma solo il primo accoppiamento è fertile, in quanto il secreto genitale prodotto dal maschio nel primo accoppiamento inibisce la fecondazione da parte del seme introdotto da altri maschi in accoppiamenti successivi. In genere la quantità di seme acquisita dalla femmina nel primo accoppiamento è sufficiente a garantire la sua fertilità per tutto l'arco di vita, anche per diversi mesi.

Dopo l'accoppiamento le femmine ematofaghe devono completare la maturazione delle uova assumendo un pasto di sangue. In generale si effettua un pasto in corrispondenza di ogni ovatura, assumendo una quantità di sangue che può superare anche i 5 mg per una sola puntura.

Habitat. L'habitat delle zanzare, nello stadio giovanile, è in generale rappresentato da acque stagnanti di varia estensione e profondità, dai fitotelmi alle piccole pozze temporanee, all'acqua piovana raccolta da particolari conformazioni di manufatti di varia natura, fino alle grandi aree umide delle zone interne o costiere (stagni, paludi, foci, ecc.). Sono colonizzate sia le acque dolci sia quelle salmastre. In generale sono evitati i corsi d'acqua, ma larve di zanzare possono essere presenti presso le rive nelle anse, dove l'acqua tende a ristagnare.

Nelle aree a forte antropizzazione, diverse specie si sono adattate sfruttando le opportunità offerte dall'uomo, in ambiente sia rurale sia urbano, laddove vi è la possibilità che si formi un ristagno idrico di una certa durata. Le larve di zanzara si rinvengono perciò nelle risaie o nelle colture in cui si attua l'irrigazione per sommersione, nei canali di bonifica e nelle scoline, nei bacini artificiali e nei serbatoi aperti di varia natura, nelle discariche, nelle acque di deflusso di reflui organici. In particolare, negli ambienti urbani, si sono adattate a sfruttare le fognature.

Gli adulti delle specie associate all'uomo tendono a frequentare gli ambienti antropizzati prossimi ai siti natali, perciò si ha una maggiore concentrazione di culicidi presso le aree umide. In condizioni di carenza dell'ospite umano utilizzano popolazioni di ospiti di sostituzione, tipicamente chiamati serbatoi, spesso rappresentati da Primati, animali domestici, uccelli. Per le loro abitudini crepuscolari e notturne, durante il giorno si rifugiano in luoghi ombrosi e freschi, fra la vegetazione fitta, spesso in cavità naturali, come il cavo degli alberi.

Sistematica e filogenesi

In passato la famiglia si identificava con l'intero raggruppamento che fa capo ai Culicoidea e comprendeva, al rango di sottofamiglie anche i Dixidae e i Chaoboridae, rispettivamente con i nomi Dixinae e Chaoborinae. Gli attuali Corethrellidae erano inoltre inclusi al rango di tribù all'interno dei Chaoborinae, con il nome Corethrellini. L'esame filogenetico ha messo in evidenza una stretta correlazione con i Chaoboridae, con i quali formano un clade monofiletico da cui divergono i Corethrellidae e, più anticamente, i Dixidae. Sulla base di queste correlazioni sono stati perciò scorporati ed elevati al rango di famiglia i suddetti taxa.

Nella configurazione attuale, la famiglia dei Culicidae, resta comunque la più vasta e rappresentativa nell'ambito dei Culicoidea, con oltre 3500 specie. La classificazione interna, secondo i più recenti orientamenti, contempla la suddivisione in due sottofamiglie, con spostamento della vecchia sottofamiglia Toxorhynchinae nei Culicinae al rango di tribù. È tuttavia ricorrente anche la classificazione tradizionale, che vede il genere Toxorhynchites separato in una propria sottofamiglia. La classificazione è inoltre confusa, secondo le varie fonti, in merito alla collocazione di alcuni generi al rango di sottogeneri, in particolare nelle tribù degli Aedini e dei Sabethini.

La famiglia è rappresentata in tutte le regioni zoogeografiche della Terra, con una maggiore concentrazione di specie nelle regioni tropicali. In Europa sono presenti oltre un centinaio di specie. In Italia è segnalata la presenza di poco più di 60 specie, anche se alcune soggette a reintroduzioni periodiche. I generi più rappresentati sono CulexAnophelesOchlerotatus e Aedes, ai quali si affiancano CoquillettidiaCulisetaOrthopodomidyia e Uranotaenia.

Importanza medico-sanitaria

Mappa del rischio di contrazione della malaria:
♦ alto
♦ medio
♦ basso
♦ molto basso
♦ nessun rischio

I Culicidae sono considerati il raggruppamento sistematico di maggiore importanza, sotto l'aspetto medico-sanitario, nell'ambito della classe degli Insetti, soprattutto per l'ampia diffusione della famiglia, la stretta correlazione di alcune specie con l'Uomo e l'emergenza sanitaria, su scala planetaria, rappresentata da alcune malattie di larga diffusione i cui agenti patogeni sono trasmessi proprio da specie appartenenti a questa famiglia. Le zanzare sono tristemente associate ad aree umide di difficile antropizzazione e considerate malsane proprio in virtù della maggiore incidenza delle malattie trasmesse da questi insetti, al punto di determinare l'evoluzione, nella specie umana, di emopatie congenite quali l'anemia falciforme, la talassemia, il favismo. Queste malattie, a base ereditaria, si sono diffuse in aree interessate dalla malaria come mezzo naturale di difesa e restano diffuse con una elevata frequenza nel germoplasma della popolazione anche dopo l'eradicazione del Plasmodium falciparum, come ad esempio è successo per l'anemia mediterranea e il favismo in alcune aree del Mediterraneo. La peculiarità di queste forme di anemia congenita risiede nel fatto di presentarsi in forma grave in omozigosi recessiva e in forma lieve in eterozigosi, offrendo in quest'ultimo caso una maggiore resistenza al plasmodio della malaria. La diffusione del gene, nelle popolazioni delle aree interessate dalla malaria, rappresenta una difesa genetica che compensa il costo biologico rappresentato dalla comparsa dell'affezione grave in condizioni di omozigosi, ma nel contempo costituisce una tara genetica gravissima allorché ne viene eradicata la causa ancestrale.

La puntura delle zanzare non è di per sé particolarmente dannosa: la saliva provoca infatti un effetto rubefacente e una reazione allergica cutanea che si manifesta sotto forma di irritazione cutanea di gravità variabile secondo il grado di sensibilità dell'individuo. Nelle regioni non interessate dalle malattie trasmesse, come ad esempio l'Europa e parte del Nordamerica, l'importanza delle zanzare è limitata alla trasmissione di malattie a carico degli animali domestici (ad esempio la Dirofilariasi del cane) e alla molestia arrecata all'Uomo, ma resta sempre uno dei principali settori d'intervento, in ambito sanitario, nei rapporti tra l'Uomo e gli insetti.

Per i motivi sopra esposti, la lotta alle zanzare ha dunque rappresentato uno dei principali obiettivi della bonifica idraulica delle aree umide e rappresenta tuttora uno dei più importanti settori dell'Entomologia applicata. In generale, fra le zanzare rientrano specie responsabili della trasmissione di malattie, a carico dell'uomo o di animali domestici, i cui agenti eziologici si collocano fra i virus, fra i protozoi del genere Plasmodium e fra i nematodi della famiglia dei Filariidae (filarie).

Lotta alle zanzare

Il rischio medico-sanitario associato alle zanzare e, più semplicemente, la molestia che questi insetti producono, sono alla base degli interventi finalizzati, se non a eradicarle, quanto meno a limitarne la proliferazione o gli attacchi all'uomo.

Cenni storici

Lo stesso argomento in dettaglio: Bonifica agrariaDiclorodifeniltricloroetano e Organofosfato.


L'idrovora Bresparola situata presso Bosaro. Prima dell'esecuzione delle opere di bonifica, il Polesine era una delle regioni italiane a più alto rischio di malaria.

I più importanti interventi, applicati in passato, consistono nella bonifica idraulica, ovvero nel prosciugamento e nella regimazione delle acque delle aree umide (stagni, paludi, suoli idromorfi, ecc.). In Italia, gli interventi di bonifica idraulica si sono svolti in diverse epoche in comprensori di estensione limitata e, più estesamente sull'intero territorio nazionale, a partire dalla fine del XIX secolo fino a raggiungere la sua massima espressione nel corso del ventennio fascista, con l'applicazione del Testo Unico sulla bonifica integrale del 1933. Interventi di bonifica della stessa portata o addirittura superiore, hanno riguardato diverse regioni della Terra (es. Stati Uniti d'AmericaPaesi BassiRussia, ecc.).

Il ruolo della bonifica idraulica, propriamente detta o integrata, nella lotta contro le zanzare è quello di togliere a questi insetti ampi territori che rappresentano importanti focolai di proliferazione. L'importanza di queste opere, di grande portata, è tale che, unitamente ad altri interventi, hanno permesso non solo la colonizzazione di aree malsane e inabitabili, ma anche l'eradicazione della malaria in alcune aree del Nordamerica e del Mediterraneo. Limitatamente all'aspetto della lotta alle zanzare, la bonifica idraulica va comunque considerata come un sottoinsieme degli interventi di modifica dell'ambiente tesi a sfavorire la proliferazione dei Culicidi.

L'irrorazione del DDT in una zona umida in una foto d'epoca.

Alla bonifica idraulica subentrò, in sostituzione o come intervento integrativo o collaterale, la lotta chimica. L'impossibilità di applicare su larga scala mezzi di lotta adulticida, la lotta chimica a scopo eradicante si è orientata esclusivamente sugli interventi larvicidi. Questi interventi, a prescindere dalla loro efficacia, si sono evoluti a partire dall'impiego di composti chimici di alto impatto come i sali dell'arsenico e gli oli minerali.

Un notevole impulso alla lotta chimica ci fu tuttavia a partire dagli anni quaranta con l'avvento degli insetticidi clororganici e in particolare del DDT. A dispetto della sua triste fama, il DDT è ritenuto il principale artefice dell'eradicazione della malaria negli Stati Uniti d'America, in Italia, in Grecia e di un iniziale trend di contenimento in altre regioni, a cui seguì una recrudescenza dell'emergenza malaria a partire dagli anni sessanta. L'uso massiccio del DDT, finalizzato ad eradicare la malaria su scala planetaria, causò tuttavia l'emergenza ecologica dovuta all'accumulo nell'ambiente, aprendo un'accesa e mai sopita disputa sul rapporto beneficio-costo di questo principio attivo. A favore di questi prodotti depone la tesi della priorità dell'emergenza sanitaria di breve periodo (malaria) su quella di lungo periodo (intossicazione cronica, cancerogenesi, ecc.).

Dopo la messa al bando del DDT, la lotta chimica larvicida si basò sull'impiego di insetticidi fosforganici di relativa persistenza, tuttavia l'impatto ambientale di questi prodotti ha sempre sostenuto la disputa fra i fautori e i contrari alla lotta chimica. A sostegno delle tesi ambientaliste va detto che gli insetticidi di terza generazione, in particolare quelli ad azione neurotossica per inibizione dell'acetilcolinesterasi, hanno un alto impatto ambientale sugli ecosistemi acquatici perché attivi anche nei confronti dei vertebrati e spesso si sono resi responsabili dell'insorgenza di fenomeni di resistenza.

Punture di zanzara

Dagli anni novanta in poi l'indirizzo generale è stato quello di contenere l'impatto ambientale della lotta chimica con il ricorso a piani di controllo integrato che prevedono l'uso di tecniche più sostenibili, la bonifica dei focolai di proliferazione, il ricorso alla lotta biologica. In alcuni Paesi, come ad esempio in Francia nel 2005, si è giunti a bandire l'impiego di prodotti chimici tossici nella lotta larvicida. L'orientamento verso un controllo di tipo integrato è stato però favorito dall'acquisizione di una più ampia conoscenza dell'ecologia e dell'etologia dei Culicidi, delle dinamiche degli ecosistemi acquatici e della fisiologia degli insetti. Ciò ha permesso anche l'introduzione degli insetticidi di quarta generazione, a basso impatto sui vertebrati in quanto interferiscono specificamente con la fisiologia degli artropodi o perché dotati di una minore tossicità intrinseca, e, soprattutto, con la costituzione di ceppi di Bacillus thuringiensis attivi anche sulle larve dei Nematoceri.

L'evoluzione delle tecniche di controllo contro le zanzare ha finora ridimensionato le emergenze di carattere ambientale associate alla lotta chimica, permettendo in linea di massima un contenimento dell'emergenza zanzare nelle regioni in cui il principale problema è rappresentato dalla molestia. Periodicamente il dibattito sulla lotta ai Culicidi si accende in casi, più o meno estesi, di recrudescenza della molestia causata dai culicomorfi o in occasione della comparsa di casi, più o meno isolati, relativi a patologie notoriamente trasmesse da culicidi. In Italia, ad esempio, il dibattito si riaccese in occasione della comparsa di diversi casi di chikungunya in Emilia-Romagna nel 2007, facendo tornare in auge il confronto fra emergenza sanitaria ed emergenza ambientale. Al di là dei contesti locali relativi ai paesi industrializzati, spesso amplificati dai media, il problema dei Culicidi in ambito planetario è ancora ad un livello di emergenza sanitaria, tale da motivare l'intensa attività della ricerca scientifica in questo settore dell'Entomologia applicata.

Tecniche di controllo

È opinione diffusa che la lotta efficace, nel lungo termine, sia una profilassi basata sull'eliminazione dei focolai di proliferazione, nel rispetto degli ecosistemi naturali, integrata dove è necessario dalla lotta larvicida. Sul piano applicativo, quest'ultima si sta indirizzando sempre più sul controllo biologico o integrato. La lotta adulticida su larga scala, oltre a non trovare giustificazioni scientifiche, tecniche ed economiche, si rivela di grande impatto ambientale e sanitario in quanto richiederebbe il rilascio di quantitativi ingenti di principi attivi tossici. Le linee di intervento vertono perciò su tre differenti livelli:

  1. Interventi di tipo profilattico di modifica dell'habitat, finalizzati a contenere la proliferazione nel lungo periodo

  2. Interventi di tipo profilattico diretti sulle larve finalizzati a contenere i focolai di proliferazione nel breve periodo

  3. Interventi di tipo preventivo finalizzati al contenimento dell'attività delle femmine adulte.

I primi due interventi si attuano per lo più su scala più o meno larga, ma possono anche essere applicati su piccola scala purché integrati in un contesto più ampio. Gli interventi del terzo tipo si attuano invece su piccola scala in ambiti domestici o civili.

Gli interventi sull'ambiente, largamente adottati in passato, vertono principalmente sulla bonifica idraulica delle aree umide e sulla regolamentazione delle attività produttive, in particolare l'agricoltura, che possono favorire la proliferazione delle zanzare. Le problematiche relative agli interventi sull'ambiente sono diverse e spesso di difficile attuazione a causa del conflitto con altre esigenze di carattere ambientale, economico, strutturale:

  • la bonifica idraulica, se da un lato ha permesso l'espansione antropica in aree inabitabili, oggi è incompatibile, in diverse regioni, con l'obiettivo di tutela delle aree umide che, a causa del loro drastico ridimensionamento, rientrano spesso fra le aree di interesse naturalistico e soggette a regimi di protezione;

  • la regolamentazione di alcune attività produttive, come ad esempio la coltivazione del riso con la tecnica tradizionale della sommersione, se da un lato è oggi tecnicamente applicabile, da un altro trova difficoltà strutturali di applicazione in quanto richiede drastiche trasformazioni sia nella tecnica sia nel know-how degli operatori;

  • gli interventi su larga scala non risolvono il problema dell'esistenza capillare di microambienti in cui le zanzare possono comunque riprodursi (pozze d'acqua temporanee, discariche abusive, giardini, coltivazioni, ecc.). Alcune specie, anzi, come è successo per la comune Culex pipiens, si sono adattate all'urbanizzazione ed hanno fondamentalmente spostato i loro siti di proliferazione dalle aree umide naturali ai microambienti acquatici creati dall'antropizzazione. Queste specie hanno peraltro tratto vantaggio dall'eutrofizzazione delle acque superficiali, più povere di ossigeno e più ricche di sostanza organica.

Oggi questi interventi possono essere concepiti nell'ambito di un programma di sensibilizzazione generale che spinga le persone a prevenire la formazione dei piccoli focolai rimuovendo le cause che possono creare condizioni per la formazione di temporanei microambienti acquatici, spesso denominati habitat containers e assimilabili ai fitotelmi e agli habitat igropetrici.

Gli interventi diretti sulle larve, applicati da decenni, si basano sull'ampia disponibilità di principi attivi impiegabili, almeno a livello teorico, nella lotta chimica: clororganici (DDT, aldrin, ecc.), fosforganici (fenthiontemephosclorpyrifosmalationfenitrotion, ecc.), carbammati (propoxurcarbaryl, ecc.), piretroidi di sintesi (deltametrinacipermetrina, ecc.). A questi si aggiungono, oggi, gli insetticidi di quarta generazione, che rientrano per lo più fra i cosiddetti regolatori dello sviluppo o IGR (Insecticides Growth Regulators) e, in particolare, alla categoria dei chitinoinibitori (diflubenzuronflufenoxuron, ecc.). Questi ultimi interferiscono con il chimismo dell'ecdisone e, impedendo la biosintesi della chitina bloccano la muta arrestando lo sviluppo delle larve. Rispetto agli insetticidi di vecchia generazione presentano il vantaggio di non interferire con la fisiologia dei vertebrati e di avere perciò una tossicità virtualmente nulla nei loro confronti. Alla lotta larvicida eseguita con insetticidi di sintesi si può assimilare, per le analogie di intervento, quella eseguita con bioinsetticidi, attualmente largamente in uso con il ricorso al ceppo israelensis del Bacillus. I bioinsetticidi offrono il vantaggio di avere un impatto nullo sui vertebrati e, quindi, un basso impatto ambientale. Le problematiche associate al ricorso alla lotta larvicida sono le seguenti:

  • accumulo nell'ambiente dei principi attivi persistenti, con particolare riferimento ai clororganici, che tendono ad accumularsi ai vertici delle piramidi alimentari;

  • insorgenza di fenomeni di resistenza, riscontrati in particolare fra i clororganici e fra i fosforganici, ma anche in alcuni azotorganici;

  • impossibilità di impiego dei principi non selettivi in acque popolate dai vertebrati a causa dell'impatto distruttivo sulla rete alimentare.

In generale, all'uso di principi attivi chimici a largo spettro di azione, se non del tutto banditi si preferisce attualmente ricorrere a prodotti a basso impatto, che rientrano nella categoria dei regolatori di crescita, o al Bacillus thuringiensis. A parte il già citato problema dell'insorgenza della resistenza, i potenziali problemi relativi all'uso di questi insetticidi risiedono nella possibilità di interferire con la dinamica di popolazione dell'artropodofauna utile. Va comunque detto che il B. thuringiensis ha finora dato buoni risultati sia per l'assenza di casi di resistenza sia per la discreta selettività.

Gli interventi contro gli adulti hanno soprattutto un effetto di contenimento in ambito contestuale e ristretto. Tali interventi, applicabili solo su piccola scala, possono essere così classificati:

  • interventi di tipo fisico-meccanico: sono tali l'installazione di dispositivi che impediscono l'ingresso delle femmine negli ambienti chiusi (zanzariere) o che ne disturbino l'attività (ventilatori, emanatori di ultrasuoni) oppure l'uso di indumenti che interferiscono con la percezione (colori chiari o zanzariere elettriche con lamada attinica o doppia lampada wood/bianza);

  • uso di repellenti: sono tali quelle sostanze che interferiscono con gli stimoli olfattivi o ne annullano l'effetto provocando l'allontanamento delle femmine dalle potenziali vittime (es. Dietiltoluamide, estratti di citronellaNepetalactonePicaridina, ecc.)

  • trattamenti chimici adulticidi: consistono nel rilascio nell'aria, tramite aerosol (spray insetticidi ad uso domestico), fumigazione (zampironi), evaporazione (erogatori a piastrine), oppure nel trattamento di superfici, tramite irrorazione nebulizzata, di insetticidi che sono attivi nei confronti degli adulti volanti. La loro azione si esercita sulle femmine durante il volo o quando si posano sulle superfici. Il contesto specifico (uso in ambienti domestici e civili, chiusi, in presenza di persone e animali, intervento sul problema in atto) fa sì che questi prodotti rispondano a specifici requisiti: da un lato devono avere una bassissima tossicità nei confronti dell'uomo e degli animali domestici e da un altro devono avere un elevato potere abbattente, ovvero devono avere un effetto insetticida istantaneo. In generale, i prodotti che rispondono a questi requisiti rientrano nella categoria dei piretroidi ai quali è aggiunto spesso il piperonil butossido per la sua azione sinergizzante.

In generale, gli interventi contro gli adulti si rivelano i meno efficaci e i più difficili da attuare e rappresentano per lo più palliativi adatti a proteggere le persone in ambienti chiusi e limitati. In merito all'uso di insetticidi, va detto peraltro che nonostante la bassa tossicità e l'impiego su scala ridotta, il ricorso a questi mezzi in ambito urbano è larghissimo, ponendo comunque il problema del rilascio di grandi quantità di principi attivi a largo spettro d'azione, poco selettivi e potenzialmente pericolosi per il rischio di intossicazione cronica. Ancora oggi, probabilmente, in Italia la lotta contro le zanzare è prevalentemente affidata agli interventi contro gli adulti.

Negli ultimi anni sono stati portati avanti degli studi per la modificazione genetica delle zanzare, per ultimo, quelli di modificarle in modo da produrre spermatozoi in grado di generare soltanto maschi, cosa che potrebbe rivelarsi utile nella lotta contro la malaria[.

Lotta biologica

Gambusia affinis, impiegata da quasi un secolo nella lotta biologica.

Il controllo biologico delle zanzare, a differenza di altre tecniche, mostra una buona compatibilità con altre esigenze e nel lungo periodo è una strategia che già in altri settori dell'Entomologia applicata ha prodotto ottimi risultati anche se spesso, in passato, è stata sopravvalutata. Le applicazioni di lotta biologica sono in studio da lungo tempo, basti pensare che in Italia l'introduzione della Gambusia affinis, di origine neotropicale, risale agli anni venti e la specie è attualmente naturalizzata in buona parte del territorio nazionale. Fino agli anni ottanta sono state identificate oltre 500 specie di organismi antagonisti nei confronti delle zanzare e circa 60 organismi diversi sono oggetto di sperimentazione o di applicazione in questo ambito.

In natura sono particolarmente attivi nei confronti delle larve delle zanzare gli Artropodi predatori e i Pesci. Fra i primi si annovera un numero elevato di specie, molte delle quali rientrano fra gli Odonati (libellule), i Rincoti Eterotteri (cimici acquatiche e acquaiole), i Coleotteri Adefagi e, infine, gli stessi Ditteri. Fra i secondi, forse i più interessanti sotto l'aspetto applicativo, si annoverano potenzialmente tutte le specie che si alimentano a spese dello zooplancton.

Nei confronti degli adulti sono invece attivi, oltre ad alcuni artropodi, gli Anfibi, gli uccelli insettivori e i pipistrelli. L'attività di questi ultimi, crepuscolare e notturna, è notevole: un solo individuo può infatti divorare oltre 500 zanzare nell'arco di una sola notte.

Larva di Toxorhynchites speciosus, un possibile ausiliario nella lotta biologica.

Sotto l'aspetto applicativo è in fase di sperimentazione o operativa l'utilizzo di circa 60 diversi organismi, in gran parte attivi contro gli stadi giovanili. Gli ambiti di applicazione o di sperimentazione sono vari, secondo i casi, e comprendono gli ecosistemi naturali, le risaie, i canali di irrigazione, i bacini artificiali, i cavi degli alberi, mentre in alcuni casi la sperimentazione è attuata in laboratorio. Le categorie in studio o in applicazione sono le seguenti:

  • Pesci. Sono oggetto di interesse oltre venti taxa fra specie o generi. Fra quelli oggetto di applicazione in fase operativa si citano in particolare Aphanius disparPoecilia reticulata e i generi GambusiaFundulus e Panchax. A questi si aggiungono gli erbivori Ctenopharyngodon idellus e Tilapia spp., impiegati come bioerbicidi nelle risaie e nei canali e che svolgono un'azione di antagonismo indiretto: questi erbivori sono attivi anche nei confronti delle alghe, perciò riducendo il grado di eutrofizzazione delle acque creano condizioni più sfavorevoli alla proliferazione delle zanzare. All'uso dei pesci, spesso di notevole efficacia, sono associate problematiche di carattere ecologico in riferimento all'introduzione di specie esotiche in ecosistemi naturali, a causa delle ripercussioni sulla dinamica della biocenosi acquatica.

  • Funghi entomopatogeni. Di impiego operativo, come bioinsetticida negli USA, è il Lagenidium giganteum, che si è rivelato di notevole efficacia, ma nella categoria sono interessate le specie di altri cinque generi, fra cui anche la Beauveria bassiana, l'unico attivo anche contro gli adulti.

  • Batteri. Oltre al già citato B. thuringiensis var. israelensis, ha impiego operativo anche il Bacillus sphaericus, che però non è attivo contro gli Aedes.

  • Nematodi. A livello operativo è nota la specie Romanonermis culixivorax e in ambito sperimentale altre specie di Mermithidae. In particolare, la specie Octyomyomermis troglodytis potrebbe essere impiegata anche come adulticida nelle cavità naturali.

Fra gli altri organismi antagonisti interessati dalla sperimentazione rientrano alcuni virus, diversi generi di protozoi, alcune specie di idrozoi e di insetti (i culicidi del genere Toxorhynchites e l'eterottero acquatico Notonecta undulata. Un cenno particolare va fatto per i virus e i protozoi: diverse forme entomopatogene possono anche trasferirisi sull'uomo, perciò l'ambito di applicazione si restringe ai soli entomopatogeni specifici.

La situazione in Italia

In Italia il rischio sanitario dovuto alle zanzare è principalmente legato all'introduzione di virus patogeni quali ChikungunyaDengue e Zika tramite persone infette che possono essere punte dalla Zanzara Tigre dando origine a possibili eventi epidemici. Il caso più importante si è verificato nel 2007 in provincia di Ravenna, quando circa 250 persone sono state infettate dal virus Chikungunya, arrivato con un viaggiatore proveniente dall'India. In alcune regioni vi è il rischio di infezione da parte del virus West Nile, che sfrutta gli uccelli come serbatoi ma può interessare anche l'uomo e gli equidi causando encefaliti in genere a risoluzione spontanea, raramente evolvono in forme gravi. È trasmesso dalla zanzara comune Culex pipiens. La Dirofilariasi canina ha carattere endemico nella Pianura Padana. In generale il problema riguarda la molestia. Spesso le amministrazioni locali sono oggetto di contestazione, da parte dell'opinione pubblica, per l'adozione di misure insufficienti o tecnicamente discutibili e si ritiene che nel territorio nazionale la lotta alle zanzare sia affidata prevalentemente ai palliativi contro gli adulti, con eccessivo impiego di principi attivi tossici.

Un caso particolare riguarda il problema delle zanzare che si sviluppano in risaia. Il regime di irrigazione per sommersione, da un lato crea le condizioni favorevoli per la proliferazione delle zanzare, da un altro, con l'alternanza delle fasi di asciutta, necessaria per l'esecuzione di alcune operazioni colturali, crea le condizioni sfavorevoli per l'insediamento di una fauna antagonista. Fra le proposte è in studio una regolamentazione della risicoltura volta a stimolare le aziende risicole a modificare le tecniche agronomiche in funzione della prevenzione e lotta alle zanzare. Regolamentazioni di questo tipo sono tuttavia di non facile adozione in quanto le tecniche alternative (come ad esempio l'irrigazione per aspersione), adottate soprattutto a livello sperimentale, sono associate ad un certo grado di aleatorietà del processo produttivo e comportano maggiori investimenti economici. In alcuni comprensori, le amministrazioni hanno attivato piani integrati per contenere il problema delle zanzare nelle aree risicole. Nel 2005, la Provincia di Novara, nell'ambito dell'applicazione delle Legge Regione Piemonte N. 75/1995, ha sperimentato una soluzione tecnica per la risicoltura: in luogo del prosciugamento completo per la mandata in asciutta del riso, si è ricorso al prosciugamento parziale, lasciando solchi sommersi per consentire il rifugio della fauna antagonista. La sperimentazione ha prodotto risultati interessanti in quanto il monitoraggio nelle aziende che hanno aderito ha rilevato una riduzione media del 44% della popolazione di larve. Nei solchi si è rilevata addirittura una diminuzione del 77% mettendo in evidenza il ruolo importante degli antagonisti naturali.

Insetti parassiti: Immagine
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